Si celebra oggi la giornata mondiale per la lotta alla pena di morte. Sono però ancora 58 i Paesi che prevedono la pena capitale nel proprio ordinamento, anche se in alcuni Stati non è più applicata.
Nel 2009 sono stati 714 i casi di esecuzione capitale. Si tratta però di un dato al ribasso perché – come sostenuto nel rapporto annuale dell’Alto Commissario per i diritti umani dell’Onu arrivato sul tavolo del Consiglio dei diritti umani durante la 15esima sessione conclusasi il 1° ottobre pena di morte – alcuni Stati come Cina, Repubblica democratica di Corea, Egitto non forniscono dati completi. Il rapporto presenta luci e ombre. Alcuni Stati come l’Angola, con l’adozione nel 2010 della nuova costituzione hanno messo al bando la pena di morte, altri come la Mongolia hanno annunciato una moratoria con la commutazione della pena capitale in una detenzione in carcere di 30 anni, decisa anche da Mosca che grazie a una sentenza della Corte costituzionale del novembre 2009 ha disposto analoga moratoria. Altri Paesi però, come il Gambia, hanno reintrodotto la pena di morte.
Secondo Amnesty international è l’Iran il Paese con il numero più alto di esecuzioni capitali (circa 388). C’è poi l’Arabia Saudita con 69 casi nel 2009, gli Stati Uniti con 52, il Giappone con 7 (per i dati completi si veda http://www.amnesty.org/en/death-penalty ). Buio sulla Cina che non fornisce dati, opponendo il segreto di Stato, e che per Amnesty International conta migliaia di esecuzioni.
Per quanto riguarda l’Europa, come dichiarato dal Consiglio d’Europa, dal 1997 la pena di morte non è più eseguita tra gli Stati membri, anche se non è stata espressamente eliminata in tutti gli ordinamenti https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?Ref=PR736(2010)&Language=lanItalian&Ver=original&Site=COE&BackColorInternet=F5CA75&BackColorIntranet=F5CA75&BackColorLog.
Necessario un maggiore impegno tanto più che spesso i riflettori si accendono solo per specifiche vicende come quella di Sakine, per poi spegnersi subito dopo. Eppure la pressione internazionale porta a qualche risultato come ha dimostrato la stessa vicenda di Sakine, la donna condannata a morte per adulterio, adesso inghiottita dal silenzio: le autorità iraniane, dopo una forte pressione internazionale, hanno almeno deciso di non procedere alla lapidazione della donna, anche se non hanno eliminato la condanna alla pena di morte.
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