L’obbligo di soccorso in mare e di salvare vite di esseri umani si estende in acque internazionali e nelle zone SAR (Search and Rescue, ricerca e salvataggio) di competenza di altri Paesi. Di conseguenza, l’Italia ha violato l’articolo 6 (diritto alla vita) e l’articolo 2 (obbligo di garantire effettivi mezzi di ricorso giurisdizionale) del Patto sui diritti civili e politici del 16 dicembre 1966, ratificato con legge n. 881/1977, non intervenendo immediatamente per soccorrere i migranti che si trovavano su un peschereccio che stava affondando. Di qui la responsabilità italiana nella strage di Lampedusa avvenuta nel 2013, sette anni fa. E’ il Comitato per i diritti umani dell’Onu a stabilirlo nelle conclusioni depositate il 27 gennaio 2021, su due ricorsi, con al centro gli stessi fatti, ma due Stati diversi: Italia (CCPR/C130/D/3042/2017, 2021.01.27 – CCPR-C-130-D-3042-2017 E (Italia) e Malta (2021.01.27 – CCPR-C-130-D-3042-2017 (Malta). E se Malta si salva per una questione procedurale e per il mancato rispetto da parte dei ricorrenti del previo esaurimento dei ricorsi interni, all’Italia, invece, arriva una “condanna” per avere violato una serie di diritti dell’uomo fondamentali, tra i quali il diritto alla vita. Questo perché non ha risposto immediatamente alle istanze di soccorso lanciate dal barcone, con oltre 400 persone a bordo, tra le quali molti bambini, che era partito dal porto libico di Zuwarah nella notte tra il 10 e l’11 ottobre 2013. Un provvedimento che addita l’Italia come responsabile e boccia un approccio ai flussi migratori che non tiene conto dei diritti umani, che l’Italia è tenuta a rispettare anche in base al diritto internazionale.
A rivolgersi al Comitato, sulla base del Protocollo del 1966, tre cittadini siriani e un palestinese (difesi dall’avvocato Andrea Saccucci) che erano sopravvissuti alla strage, perdendo, però, i propri familiari. Il barcone era partito da Zuwarah: il peschereccio aveva iniziato a imbarcare acqua ed era stato colpito, in acque internazionali, da una nave battente bandiera berbera. La barca si trovava a 113 chilometri dall’isola di Lampedusa e a 218 chilometri a sud di Malta. Era partita subito la richiesta di aiuto, in primo luogo all’Italia, anche se il barcone si trovava nella zona di ricerca e soccorso di Malta, ma più vicina all’Italia dal punto di vista geografico. Di qui la responsabilità italiana, che è intervenuta con ritardo malgrado il diritto internazionale del mare imponga agli Stati di adottare ogni azione necessaria a salvare la vita di chi si trova in una situazione di pericolo in mare. L’Italia, ricevuta la chiamata di soccorso, l’aveva girata a Malta perché l’affondamento della nave era avvenuto nella zona SAR maltese, ritardando così i soccorsi. Dopo qualche ora era stata inviata una nave della marina militare, con la conseguenza che era stato prestato soccorso con grave ritardo. Oltre 200 i morti, tra i quali molti bambini. Per il Comitato Onu, l’Italia, anche se l’imbarcazione non era nella SAR italiana, aveva l’obbligo di prestare soccorso e salvare la vita ai migranti. Per il Comitato, infatti, l’effettiva tutela del diritto alla vita comporta l’obbligo per gli Stati parti al Patto di adottare tutte le misure necessarie per proteggere la vita degli esseri umani, da ogni rischio ragionevolmente prevedibile, anche in forza dell’obbligo di diligenza dovuta nell’attuazione effettiva dei diritti. Né vale ad “assolvere” uno Stato che agisce con ritardo il solo fatto che il naufragio dei migranti fosse avvenuto nella SAR di Malta. Tanto più che l’Italia non ha fornito spiegazioni chiare per giustificare il ritardo nell’intervento, prima che Malta fosse avvisata dell’incidente. Non solo. La nave italiana, che si trovava a solo un’ora di distanza dal peschereccio, fu avvisata dalle autorità italiane con ritardo e non è chiaro se fu dato addirittura un ordine di allontanamento dal peschereccio. L’Italia ha così violato l’articolo 6, par. 1 del Patto, che assicura il diritto alla vita non chiarendo, inoltre, le motivazioni delle lungaggini nell’accertamento dei fatti da parte delle autorità nazionali, limitandosi a trincerarsi dietro la complessità del caso. Né è stata fornita una tabella di marcia sullo svolgimento dei procedimenti. E’ così evidente anche la violazione dell’art. 2 e la richiesta all’Italia di avviare un’indagine indipendente sui fatti e processare i responsabili, assicurando un rimedio effettivo alle vittime che hanno perso le proprie famiglie nell’incidente. Adesso, l’Italia dovrà comunicare, entro 180 giorni, le misure adottate in attuazione del provvedimento del Comitato, oltre a procedere alla diffusione del testo in italiano.
Anne van den Troost
febbraio 2, 2021Dopo più di 7 anni finalmente chiarezza. Cosa significa per i prossimi sbarchi?