L’interesse pubblico alla diffusione di una notizia deve essere valutato nel momento in cui il giornalista procede alla pubblicazione di un articolo. E non va dimenticato – ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza del 28 ottobre 2014 (Cârstai contro Romania, ricorso n. 20531, CASE OF ION CARSTEA v. ROMANIA) che nel caso in cui vengano formulate accuse nei confronti di persone identificate nominativamente, specificando anche l’occupazione, il giornalista deve indicare una base fattuale sufficiente a supporto delle dichiarazioni rese. Di qui la condanna alla Romania che, secondo la Corte di Strasburgo, non aveva assicurato il diritto alla tutela del rispetto della vita privata e familiare garantito dall’articolo 8 della Convenzione europea. Il ricorso era stato presentato da un professore universitario: su un giornale erano stati pubblicati alcuni articoli su episodi avvenuti 19 anni prima relativi ad abusi sessuali su un minore, corruzione e comportamenti sessuali deviati. Il professore aveva citato in giudizio i due giornalisti per diffamazione ma aveva avuto torto perché, ad avviso dei giudici nazionali, malgrado la constatazione che in alcuni articoli vi fossero elementi diffamatori, ciò era giustificato dall’esigenza di mostrare alla collettività fatti inerenti a una figura pubblica. La Corte europea, invece, ha dato ragione al ricorrente. E’ vero che l’articolo riguardava una questione di interesse generale, ma i giudici nazionali, per assicurare un giusto equilibrio tra diritto alla libertà di espressione (articolo 10) e diritto alla reputazione che è incluso nel diritto al rispetto della vita privata e familiare, avrebbero dovuto tenere conto anche di altri criteri. Prima di tutto, il giornalista, nel momento in cui indica nominativamente la persona al centro dell’accusa deve fornire una sufficiente base fattuale. Inoltre, va considerato che il pubblico interesse a ricevere la notizia deve essere valutato nel momento in cui l’articolo è pubblicato, mentre nel caso di specie gli avvenimenti erano avvenuti moltissimi anni prima. Questa valutazione non è stata compiuta dal giudice nazionale che non ha accertato se la fonte fosse credibile e se il giornalista aveva agito in buona fede. A tal proposito, la Corte europea osserva che nel corso del procedimento nazionale non era stato prodotto alcun documento che supportasse le accuse mosse nell’articolo e nessun testimone aveva confermato quanto scritto. Senza dimenticare un aspetto centrale nella giurisprudenza della Corte: ossia la distinzione nel livello di privacy previsto per politici e personaggi pubblici rispetto a privati. Ora, nel caso di specie, il professore era sconosciuto al grande pubblico e i giudici nazionali non hanno compiuto alcun accertamento per verificare che si trattasse effettivamente di una figura pubblica. Inoltre, è mancata una valutazione sull’utilità della fotografia pubblicata che ritraeva nudo il professore. Di qui, constatato il mancato bilanciamento tra i diritti in rilievo, la condanna alla Romania che non ha garantito il diritto al rispetto della vita privata che include quello alla reputazione.
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