Il reato continuato non è un effetto penale della condanna perché richiede un giudizio di merito e, di conseguenza, una sentenza pronunciata in un altro Stato non può incidere sulle decisioni adottate da un altro Paese. E questo anche dopo l’adozione della decisione quadro n. 2008/675/GAI relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell’Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, prima sezione penale, con la sentenza n. 35634 depositata il 5 agosto (35634) con la quale è stato accolto il ricorso del Procuratore generale della Corte di appello di Venezia. Quest’ultimo aveva impugnato l’ordinanza con la quale la Corte di appello, come giudice dell’esecuzione, aveva accolto la domanda di un condannato nel senso di riconoscere la continuazione tra il reato per il quale era stato condannato in Italia e un’altra condanna inflitta dal Tribunale di Bihor (Romania). Questa scelta era dovuta all’entrata in vigore del Dlgs 15 maggio 2016 n. 73 di attuazione della decisione quadro 2008/675/GAI: l’articolo 3 del decreto legislativo prevede che le sentenze straniere siano valutate anche in assenza di riconoscimento se non contrastanti con i principi fondamentali dell’ordinamento italiano ai fini della determinazione della pena, con un’interpretazione favorevole al condannato che ha portato la Corte di appello a considerare la condanna rumena anche nella fase di esecuzione. Di qui l’impugnazione del Procuratore generale al quale la Cassazione ha dato ragione. Questo perché nella fase di esecuzione non è applicabile l’articolo 81 del codice penale perché la sentenza straniera non è rilevante ai fini della continuazione. Questo principio non è stato modificato dal decreto legislativo n. 73 e, quindi, la sentenza emessa dall’autorità giudiziaria di uno Stato membro dell’Unione europea non può essere considerata per l’applicazione della disciplina interna sulla continuazione perché il giudice italiano è “vincolato a rispettare la durata e la natura della pena stabilita nello Stato di condanna” e il regime del reato continuato “non può essere considerato un effetto penale della condanna, in quanto presuppone un giudizio di merito”. D’altra parte – osserva la Cassazione – l’articolo 3, paragrafo 3 della decisione quadro stabilisce che la valutazione delle precedenti decisioni di condanna pronunciate da altri Stati membri “non comporta né interferenza con tali decisioni, né con qualsiasi altra decisione relativa alla loro esecuzione da parte dello Stato membro che avvia il nuovo procedimento, né di revocarle o di riesaminarle”.
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