L’immunità dalla giurisdizione di uno Stato estero non può essere concessa per le azioni derivanti da crimini di guerra e contro l’umanità, inclusi gli atti di terrorismo internazionale. Nel solco di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 238 del 22 ottobre 2014, la Corte di cassazione, sezioni unite civili, con la sentenza n. 21946/15 depositata il 28 ottobre (21946) ha stabilito che se uno Stato estero ha commesso gli indicati crimini la regola dell’immunità non trova applicazione, pur stabilendo che, nel caso di specie, la sentenza emessa da un tribunale Usa non potesse essere eseguita in Italia in quanto mancava la competenza internazionale del giudice straniero ai sensi dell’articolo 64 della legge n. 218/1995.
Alla Corte di Cassazione si sono rivolti i familiari di una cittadina americana, di religione ebraica, che era stata uccisa in un attentato terroristico, rivendicato da Hamas, in Israele. La United States District Court for the District of Columbia con la sentenza n. 97-396 aveva riconosciuto la propria giurisdizione e condannato l’Iran, accusato di aver diretto l’attentato, a versare ai parenti della vittima 26.002.690 dollari come risarcimento danni e 225.000.000 dollari per danni punitivi. I familiari si erano poi rivolti alla Corte di appello di Roma chiedendo la delibazione della sentenza per poter procedere all’esecuzione sui beni iraniani in Italia. La Corte di appello di Roma aveva però negato la delibazione, accogliendo quanto sostenuto dal Governo iraniano e da quello italiano, fermi e uniti nel rivendicare l’applicazione della regola consuetudinaria sull’immunità dalla giurisdizione come affermata dalla Corte internazionale di giustizia con la sentenza del 3 febbraio 2012, nella controversia Germania contro Italia. Una tesi che non ha convinto la Cassazione. Prima di tutto, secondo la Suprema Corte, la ratio decidendi dei giudici di appello non è accettabile in ragione di quanto sostenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 238 la quale ha escluso che la norma internazionale alla quale il nostro ordinamento si è conformato in base all’articolo 10 della Costituzione possa comprendere “l’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile in relazione ad azioni di danni derivanti da crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona, i quali risultano per ciò stesso non privi della necessaria tutela giurisdizionale effettiva”. Un principio al quale le Sezioni Unite aderiscono: se la norma sull’immunità “confligge con gli elementi identificativi e irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale” non può “entrare” nell’ordinamento italiano. Un simile orientamento trova d’altra parte conferma nelle posizioni assunte dalla Cassazione che “ha ritenuto prevalenti, sul dogma della sovranità, i principi e i diritti fondamentali che si riconnettono ai valori costitutivi della dignità umana”. Tanto più che la Cassazione è da tempo orientata nel fare emergere una norma consuetudinaria internazionale basata “su un’operatività non illimitata o indiscriminata dell’immunità”.
Detto questo, però, la Cassazione ritiene che la decisione della Corte di appello di impedire l’exequatur della sentenza Usa sia stata corretta in forza dell’articolo 64 della legge n. 218/1995, perché il giudice straniero non aveva la giurisdizione secondo i criteri propri dell’ordinamento italiano. Questo vuol dire che non può essere riconosciuta ed eseguita in Italia una pronuncia adottata da giudici stranieri competenti in base al proprio ordinamento, ma non secondo i criteri di competenza del giudice italiano. Inoltre, la Suprema Corte esclude che la sentenza della Consulta possa essere utilizzata per affermare un principio di giurisdizione civile universale per le azioni risarcitorie derivanti da crimini di diritto internazionale. Di qui la decisione di respingere il ricorso e bloccare l’exequatur della sentenza targata Usa.
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