Le sanzioni penali previste in un ordinamento interno per i casi di diffamazione a mezzo stampa hanno un effetto dissuasivo sulla libertà di espressione dei giornalisti e sono, quindi, incompatibili con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Lo ha stabilito la Corte di Strasburgo nella sentenza Welsh e Silva Canha contro Portogallo depositata ieri (ricorso n. 16812/11, AFFAIRE WELSH ET SILVA CANHA c-1. PORTUGAL) che, da un lato, ha confermato la precedente giurisprudenza e, dall’altro lato, ha aggiunto un ulteriore elemento nel segno di una maggiore tutela della libertà dei giornalisti. Questo perché la Corte europea ha riconosciuto un diritto ampio dei giornalisti nella cronaca giudiziaria di fatto concedendo ai cronisti di riportare gli indizi raccolti a carico di persone indagate se all’epoca in cui sono pubblicati gli articoli non è stata pronunciata una sentenza di assoluzione. Questi i fatti. Il direttore e il vicedirettore di un giornale satirico avevano pubblicato alcuni articoli sul vice presidente della giunta regionale di Madeira nei quali sostenevano che il politico aveva comprato alcuni terreni a prezzi agevolati e pagato il suo avvocato utilizzando fondi pubblici. Citati in giudizio per diffamazione, in primo grado, avevano avuto ragione mentre in appello erano stati condannati al pagamento di un’ammenda di circa 3.500 euro nel complesso più 5.000 euro per i danni non patrimoniali e le spese processuali. Di qui il ricorso alla Corte europea che ha dato ragione ai giornalisti. Per Strasburgo, i reporter avevano riportato fatti di interesse generale riguardanti un uomo politico che sceglie, per l’attività svolta, di essere sottoposto ai riflettori della stampa e della collettività. Ma c’è di più. I giornalisti avevano agito in buona fede e nel rispetto delle regole deontologiche tant’è che avevano interpellato il politico per avere la sua versione dei fatti, il quale, però, si era rifiutato di rispondere. A ciò si aggiunga che per valutare il comportamento del giornalista, la Corte ha indicato alle autorità nazionali la necessità di fare riferimento ai fatti così come esistono nel momento in cui il cronista scrive e pubblica l’articolo, senza tener conto dell’eventuale esito positivo, in sede giudiziaria, per il politico. Ora – osserva la Corte – poiché all’epoca dei fatti non vi era stata alcuna pronuncia di assoluzione del politico, i giornalisti avevano diritto di riportare gli indizi esistenti a carico del vicepresidente della regione. Rispettate le regole deontologiche e del giornalismo responsabile, è evidente che nel comminare la condanna ai reporter il Portogallo ha violato la Convenzione europea.
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