La Corte europea dei diritti dell’uomo boccia le norme costituzionali ungheresi che di fatto mirano a colpire un magistrato che ha espresso critiche nei confronti del Governo e del potere legislativo. E lo fa con la sentenza del 27 maggio 2014 (Baka contro Ungheria, ricorso n. 20261/12, CASE OF BAKA v. HUNGARY) con la quale la Corte ha accolto il ricorso dell’ex Presidente della Corte suprema, Andras Baka, condannando l’Ungheria. Questi i fatti. Il Presidente della Corte suprema, che aveva un mandato fino al 2015, mentre era in corso una discussione interna sulla modifica della Costituzione, aveva espresso, nel corso di dibattiti pubblici, talune osservazioni critiche sulla riforma. A dicembre 2011 fu adottata la nuova Costituzione, con la quale si precisava che il mandato del Presidente della Corte suprema, che avrebbe cambiato nome, sarebbe terminato nel momento dell’entrata in vigore della Costituzione. Il mandato di Baka terminò, così, il 1° gennaio 2012, ben tre anni prima rispetto alla scadenza naturale del mandato, con danni economici rilevanti. Impossibile per l’ex Presidente ricorrere a rimedi giurisdizionali interni. Di qui il ricorso alla Corte europea che gli ha dato ragione in ordine alla violazione del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva (articolo 6, par. 1) e del diritto alla libertà di espressione (articolo 10). Partendo dall’analisi di quest’ultimo profilo, la Corte osserva che sia la modifica del termine del mandato sia i nuovi criteri di elezione del Presidente della Corte suprema sono stati approvati subito dopo le critiche espresse da Baka. Il testo costituzionale era stato poi adottato in tempi rapidissimi. Una sequenza sospetta che porta la Corte a concludere a favore del ricorrente e a ritenere che vi è stata un’ingerenza nel suo diritto alla libertà di espressione. Che, per di più, non era necessaria in una società democratica, comportando così una violazione della Convenzione. Il magistrato – osserva la Corte – ha espresso un’opinione su un tema di interesse generale. Ciò non solo era un suo diritto, ma anche un suo dovere come Presidente della Corte suprema. Le conseguenze per il magistrato erano state molto gravi anche sotto il profilo patrimoniale, oltre a determinare un chilling effect sull’esercizio della libertà di espressione, in pratica producendo l’effetto di scoraggiare i giudici dal formulare osservazioni critiche sulle istituzioni pubbliche e su scelte di interesse generale. Strasburgo ha anche precisato che se una questione discussa da un giudice ha implicazioni politiche, questo non è sufficiente a impedire e a limitare il diritto di un magistrato a fare dichiarazioni sull’argomento. Inoltre, limitare la libertà di espressione di un magistrato che non ha effettuato alcun attacco personale va a detrimento dell’intera società che è privata di un giudizio tecnico rilevante. Alla luce di queste considerazioni la Corte ha accertato la violazione del diritto alla libertà di espressione e dell’articolo 6 visto che la legge costituzionale non poteva essere impugnata sul piano giurisdizionale. La Corte si è riservata di decidere sull’equa soddisfazione.
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