Una decisione che stabilisce il rigetto dell’istanza di un’autorità di uno Stato membro all’emissione di un mandato di arresto europeo non preclude all’autorità giudiziaria italiana di concedere successivamente la consegna se non vi è stata una revoca espressa. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 41516/15 depositata il 15 ottobre (41516) in materia di applicazione della legge n. 69/2005 con la quale è stata recepita la decisione quadro 2002/584 sul mandato di arresto europeo e le procedure di consegna tra Stati membri. Questi i fatti. Un cittadino della Repubblica ceca si opponeva alla consegna alle autorità giudiziarie del proprio Paese ai fini dello svolgimento del processo penale a suo carico. La Corte di appello di Bologna aveva dato il via libera alla consegna con sentenza del 9 settembre 2015, condizionandola alla riconsegna all’Italia per l’espiazione della pena. In realtà, secondo il destinatario del provvedimento, poiché la richiesta era stata già respinta con decisione del 7 luglio 2015 perché non era stata fornita la documentazione necessaria, in analogia con l’articolo 707 del codice di procedura penale che detta norma in materia di estradizione imponendo la nuova emissione della richiesta, la consegna non poteva essere effettuata. Una tesi respinta dalla Suprema Corte che esclude le regole applicabili all’avvio della procedura estradizione al mandato di arresto europeo anche perché una simile interpretazione risulterebbe in contrasto con il favor verso la collaborazione tra autorità giudiziarie imposta dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 16 luglio 2015 (causa C-237/15, C-237:15). In quell’occasione, privilegiando le esigenze della cooperazione giudiziaria penale sui limiti temporali stabiliti nell’atto Ue, Lussemburgo aveva affermato che la scadenza del termine previsto per l’esecuzione di un mandato di arresto europeo non sottrae lo Stato membro richiesto dall’obbligo di eseguire il provvedimento. Una linea a cui ha aderito la Cassazione. A ciò si aggiunga – osserva la Suprema Corte – che la previsione di un termine per la consegna della documentazione è funzionale all’accelerazione del procedimento interno ma non incide sulla validità dell’iter. Di conseguenza, è ben possibile che una decisione si chiuda con il rigetto dell’istanza, ma ciò non è preclusivo per l’adozione del provvedimento di consegna se l’istanza non è stata revocata. Pertanto, la pronuncia precedente non ha fatto venire meno l’efficacia della richiesta della consegna. La Corte di cassazione ha invece accolto il ricorso del Procuratore generale secondo il quale andava annullata la condizione che subordinava la consegna al fatto che la pena fosse espiata in Italia perché manca il radicamento o la residenza in Italia del consegnando.
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