L’esigenza primaria dell’autorità nazionali è garantire l’interesse superiore del minore che è determinante nelle decisioni sulla dichiarazione di adottabilità. Se ciò non avviene, è sicura una condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Così è avvenuto per l’Italia condannata, con sentenza del 16 luglio, per violazione dell’articolo 8 che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare (AFFAIRE AKINNIBOSUN). La vittima un cittadino nigeriano che, arrivato con uno dei tanti barconi provenienti dalla Libia, ha trovato in Italia ogni forma di sventura. L’uomo aveva con sé la figlia minorenne e aveva ottenuto il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. I servizi sociali avevano ravvisato un rapporto difficile tra genitore e figlia e, dopo qualche tempo, era stata sospesa l’autorità genitoriale, con la nomina di un tutore. L’uomo era stato anche indagato e posto in detenzione dal 2009 al 2011, anno in cui era stato assolto. Il ricorrente aveva chiesto di vedere la figlia, ma anche a causa delle difficoltà nei rapporti emerse durante gli incontri, non era stata più concessa alcuna visita. La bambina era stata affidata a una famiglia e poi dichiarata adottabile. Di qui l’azione a Strasburgo che ha dato ragione all’uomo. La Corte europea riconosce che tra obblighi positivi e obblighi negativi, che gravano sugli Stati in base all’articolo 8 della Convenzione, non esiste una netta linea di demarcazione e il margine di apprezzamento concesso agli Stati è variabile. Tuttavia, l’interesse superiore del minore deve svolgere un ruolo determinante, tenendo conto che il carattere adeguato di un provvedimento si misura anche in relazione alla rapidità di realizzazione. Le autorità italiane avevano disposto una sostanziale soppressione del legame tra genitore e figlio basandosi, quasi esclusivamente, sui rapporti dei servizi sociali e sulle dichiarazioni della famiglia di accoglienza. Eppure – scrive la Corte – l’uomo non era mai stato accusato di violenza, maltrattamento o abusi sessuali, né aveva manifestato disturbi psichici. Il distacco dalla figlia era stato imposto dalla misura detentiva che aveva subito e per la quale aveva ottenuto un indennizzo per ingiusta detenzione. Pertanto, all’uomo non poteva certo essere addossata alcuna forma di disinteresse e, come è ovvio, dopo tre anni di separazione, l’incontro era stato difficile. Va poi ricordato – osserva la Corte – che la possibilità per un bambino di ottenere, presso un’altra famiglia, una migliore educazione, certo non può giustificare l’allontanamento. Nel caso di specie, secondo Strasburgo, era mancata, prima della decisione sulla dichiarazione di adottabilità, una valutazione seria e attenta anche perché non era stato sentito uno psicologo e non si era fatto alcun tentativo di salvaguardare il legame padre e figlia. Di qui la violazione dell’articolo 8 e l’attribuzione di 32mila euro a titolo di danno morale. La Corte, però, considerando che il minore era stato già adottato, proprio per tutelarlo, non ha disposto il ricongiungimento con il ricorrente.
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