L’annullamento del titolo di studio viola il diritto al rispetto della vita privata

L’annullamento della laurea a causa di un errore amministrativo sulle modalità di iscrizione commesso da un’università non può ricadere sulle spalle degli studenti. Le autorità nazionali, quindi, non possono procedere ad adottare una simile misura che ha un impatto negativo sulla vita professionale dei destinatari del provvedimento, procurando un brusco cambiamento nella vita degli interessati. Lo ha chiarito la Corte europea dei diritti dell’uomo che, a seguito del ricorso di 5 cittadini italiani, con la sentenza depositata il 3 marzo, ha condannato la Romania (ricorso n. 30547/14, AFFAIRE CONVERTITO ET AUTRES c. ROUMANIE). I ricorrenti avevano conseguito il diploma di laurea in odontoiatria in Romania ma, dopo aver frequentato regolarmente i corsi e avere sostenuto gli esami per ben 6 anni, si erano visti annullare il diploma di laurea per decisione del Ministero dell’educazione rumeno che aveva contestato all’università alcune irregolarità amministrative. Per la Corte europea, una decisione come quella adottata dalla Romania è una violazione dell’articolo 8 della Convenzione che tutela il diritto al rispetto della vita privata, nel quale è inclusa la vita professionale. Nel caso in esame, inoltre, i ricorrenti avevano seguito l’iter formale di iscrizione ottenendo il via libera alla frequenza del corso di studio in Romania dal preside e dagli altri organi accademici competenti. Anche ammettendo che vi fosse stata una irregolarità, la divergenza tra autorità accademiche e governo non può ricadere sugli studenti ai quali è stato consentito di frequentare e sostenere gli esami per l’intero corso di studio. Inoltre, la misura di annullamento del titolo è del tutto sproporzionata e ha procurato nei 5 laureati un danno professionale e un brusco cambiamento nella propria posizione, senza che nulla fosse loro imputabile o che vi fosse un elemento negativo legato alla capacità professionale. Accertata la violazione della Convenzione, la Corte ha condannato la Romania a versare 10mila euro ad ogni ricorrente per i danni non patrimoniali subiti. Va segnalata, anche in questo caso, l’estrema lentezza del procedimento dinanzi alla Corte, adita dai ricorrenti il 16 aprile 2014.

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