La sanzione pecuniaria prevista dal Testo unico in materia bancaria (art. 144) non può essere considerata, in base alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, come una sanzione penale. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, seconda sezione civile, con la sentenza n. 3656 depositata il 24 febbraio (3656_02_2016). La Cassazione, con la sentenza in esame, ha respinto il ricorso di un direttore di una banca che contestava la sanzione di 28mila euro decisa nei suoi confronti dalla Banca d’Italia. Tra gli altri motivi, il ricorrente sosteneva che il procedimento che aveva condotto all’applicazione della sanzione era in contrasto con le regole sull’equo processo di cui all’articolo 6 della Convenzione europea. Tutti i motivi di ricorso sono stati respinti. La Cassazione ha anche chiarito che la sanzione prevista dal Testo unico bancario e comminata dalla Banca d’Italia ha natura diversa rispetto a quella disposta ai sensi dell’articolo 187 ter del decreto legislativo del 24 febbraio 1998, n. 58 contenente il “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52″ (modificato in diverse occasioni). Proprio alla luce della sentenza Grande Stevens del 4 marzo 2014 e della giurisprudenza consolidata di Strasburgo che, a partire dal caso Engel, ha precisato che per qualificare una sanzione come penale è indispensabile la sussistenza di almeno uno dei tre criteri (che hanno carattere alternativo e non cumulativo) ossia la qualificazione giuridica della misura sul piano interno, la natura della misura e il grado di severità della sanzione, la Cassazione giunge alla conclusione che la sanzione decisa dalla Banca d’Italia ha natura amministrativa e non penale. In particolare, la Suprema Corte, per arrivare all’indicata conclusione ha considerato l’entità della sanzione della Banca d’Italia che nel massimo è di 129mila euro a fronte dei 5 milioni previsti per la violazione dell’articolo 187ter TFU, il sistema di sanzioni della Banca d’Italia che non prevede sanzioni accessorie, e la circostanza che secondo il Testo unico bancario non è prevista la confisca del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati. Tutti elementi che portano la Cassazione a concludere nel senso di ritenere che le sanzioni irrogate ex art. 144 non sono equiparabili “per tipologia, severità ed idoneità ad incidere sulla sfera patrimoniale e personale dei destinatari” a quelle di cui si è occupata la CEDU nel caso Grande Stevens. Questo vuol dire che le sanzioni hanno carattere amministrativo e, quindi, non si pone “un problema di compatibilità del procedimento sanzionatorio previsto in materia con le garanzie riservate ai processi penali dall’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. La Suprema Corte ha ritenuto, inoltre, non necessario, con riguardo all’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali, il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue.
Si vedano i post http://www.marinacastellaneta.it/blog/gli-effetti-della-sentenza-grande-stevens-sul-diritto-interno-uno-studio-della-cassazione.html e http://www.marinacastellaneta.it/blog/le-sanzioni-amministrative-gravi-devono-essere-qualificate-come-penali-nulla-la-riserva-italiana-sul-principio-ne-bis-in-idem-del-protocollo-cedu.html.
Aggiungi un commento