Il 23 settembre il Presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas ha presentato all’Assemblea generale la richiesta di ammissione all’Onu, chiedendo la cessazione degli insediamenti e la delimitazione dei confini come definiti prima del 4 giugno 1967 (Palestina). Il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha trasmesso l’istanza al Consiglio di sicurezza che, come previsto, bloccherà tutto a causa del veto statunitense. Già nel suo discorso alla sessione plenaria dell’Assemblea generale, il Presidente Obama ha chiarito che dichiarazioni e risoluzioni adottate dalle Nazioni Unite non sono un metodo per risolvere i conflitti (http://gadebate.un.org/66/united-states-america). Sulla stessa linea, il Primo ministro inglese David Cameron (http://gadebate.un.org/66/united-kingdom-great-britain-and-northern-ireland).
Il Primo ministro israeliano Netanyahu è ovviamente contrario e chiede prima sicurezza e pace e poi il riconoscimento dello Stato palestinese e l’ammissione all’ONU (Israele). Si è messa di traverso anche la Francia: il Presidente francese Sarkozy ha affermato che la Palestina non può ancora ottenere il pieno riconoscimento come Stato membro dell’Onu, ma può ricevere quello di osservatore (http://gadebate.un.org/66/france).
Ma al di là dell’esito, l’Onu non dovrebbe perdere l’occasione per dare nuovo impulso ai dialoghi tra Israele e Palestina arenati da tempo, dopo la fallimentare esperienza del Quartetto (Nazioni Unite, Unione europea, Russia e Stati Uniti), il cui inviato speciale Blair non si può certo dire che passerà alla storia per aver messo in campo iniziative concrete per la pace tra Palestina e Israele (http://www.un.org/News/dh/infocus/middle_east/quartet-23sep2011.htm). Più che come una sfida, quindi, la richiesta palestinese va letta come un’ennesima richiesta di aiuto alla comunità internazionale.
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