La legge sulla fecondazione assistita sotto i riflettori di Strasburgo

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha comunicato al Governo italiano di aver ricevuto un ricorso presentato da una coppia di cittadini italiani che non può accedere, a causa della legislazione interna, allo screening di embrioni malgrado il rischio di una grave malattia genetica per il feto (ricorso n. 54270/10, http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?action=html&documentId=887121&portal=hbkm&source=externalbydocnumber&table=F69A27FD8FB86142BF01C1166DEA398649). Il ricorso contro l’Italia per violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea, che garantisce il diritto al rispetto delle vita privata e familiare, nonché dell’articolo 14 sul divieto di discriminazioni, è dovuto alla circostanza che, in base alla legge n. 40 del 19 febbraio 2004 la coppia non può ricorrere alla fecondazione in vitro e quindi allo screening degli embrioni: la fecondazione in vitro, infatti, è ammessa solo nei casi di sterilità e lo screening è permesso solo se il partner di sesso maschile abbia una malattia sessualmente trasmissibile come l’Aids (decreto del ministero della salute n. 31639 dell’11 aprile 2008). La coppia aveva avuto un figlio che era risultato malato di fibrosi cistica e dopo aver dovuto ricorrere all’aborto durante una seconda gravidanza avendo accertato la malattia del feto, voleva essere certa, con la diagnosi pre-impianto, di non trasmettere la malattia a un altro figlio. Di qui la volontà di ricorrere alla fecondazione in vitro, non consentita in Italia in quanto i coniugi non erano affetti da sterilità. Il 13 ottobre 2010 la coppia ha presentato il ricorso alla Corte europea che lo ha comunicato al Governo. Dopo le osservazioni dell’Italia, la Corte si dovrà pronunciare prima sulla ricevibilità del ricorso e poi eventualmente sull’eventuale sussistenza della violazione.

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