Le tariffe massime obbligatorie previste per gli avvocati sono compatibili con il Trattato Ue. Lo ha detto la Corte di giustizia che, con la sentenza del 29 marzo 2011 (causa C-565/08), ha respinto il ricorso della Commissione europea contro l’Italia http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=it&jurcdj=jurcdj&newform=newform&docj=docj&docop=docop&docnoj=docnoj&typeord=ALLTYP&numaff=&ddatefs=23&mdatefs=3&ydatefs=2011&ddatefe=30&mdatefe=3&ydatefe=2011&nomusuel=&domaine=&mots=&resmax=100&Submit=Rechercher
La Commissione sosteneva che il sistema italiano era contrario agli articoli 43 e 49 del Trattato, divenuti con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Ue rispettivamente articoli 49 e 56 riguardanti il diritto di stabilimento e la libera prestazione dei servizi perché, tra gli altri motivi, la previsione di tariffe massime obbligatorie, non correlate a fattori quali la qualità della prestazione, il lavoro necessario per l’attività e i costi sostenuti poteva dissuadere i legali di altri Stati membri dall’ingresso nel mercato italiano. La tesi della Commissione non ha convinto la Corte. E’ vero, hanno sostenuto i giudici Ue, che il sistema delle tariffe può costituire una restrizione a una libertà fondamentale perché può ostacolarne o scoraggiarne l’esercizio, ma la Commissione non è riuscita a dimostrare che le disposizioni interne hanno lo scopo di impedire l’accesso al mercato da parte di avvocati di altri Stati membri.
Sulle tariffe minime si veda la sentenza del 5 dicembre 2006, nelle cause Cipolla e Macrino – Capodarte (C-94/04 e C-202/04), con la quale la Corte Ue – seguendo l’orientamento tracciato nella sentenza Arduino – ha stabilito che le tariffe minime obbligatorie, pur costituendo un ostacolo alla libera prestazione dei servizi possono essere giustificate in ragione di esigenze legate a motivi imperativi di interesse pubblico.
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