Per la prima volta, la Corte di giustizia dell’Unione europea si è pronunciata sul trasferimento di un minore a seguito dell’esecuzione di un provvedimento interno adottato da uno Stato Ue in base al regolamento Dublino III e sulla qualificazione di tale azione come sottrazione internazionale di minore. Con la sentenza depositata il 2 agosto nella causa C-262/21 (A contro B, C-262:21), la Corte Ue ha precisato che il genitore, cittadino di un Paese terzo che, con il figlio minorenne, senza il consenso dell’altro coniuge, si allontana dallo Stato in cui il minore ha la residenza abituale in un altro Paese Ue per rispettare una decisione di trasferimento adottata dalle autorità nazionali del primo Stato non compie un trasferimento illecito o un mancato ritorno illecito. E’ la prima volta che la Corte si pronuncia sui rapporti tra due regolamenti Ue che hanno ambiti di applicazione del tutto diversi: il regolamento UE n. 2201/2003 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale (Bruxelles II bis) e il regolamento n. 604/2013 (Dublino III) che stabilisce i criteri e i meccanismi per la determinazione dello Stato membro competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide. La vicenda è stata lunga e complessa. Due coniugi, cittadini di un Paese terzo, residenti in Finlandia dal 2016, si erano trasferiti in Svezia, dove era nato un figlio che aveva la residenza abituale in Svezia. Il bambino era stato collocato con la madre in una casa di accoglienza per donne in difficoltà. La donna aveva presentato una domanda di asilo in Svezia per sé e per il minore perché temeva, in caso di ritorno nel Paese di origine, violenze da parte della famiglia del marito. La Svezia si era dichiarata incompetente, aveva archiviato la domanda e ordinato il trasferimento del minore e della madre in Finlandia. La donna e il figlio si erano così trasferiti in quest’ultimo Paese. Il padre del bambino aveva chiesto al Tribunale di primo grado di Västmanland (Svezia) l’affido condiviso del minore: la domanda era stata accolta e l’uomo aveva presentato istanza per il ritorno immediato del bimbo in Svezia. Il padre si era rivolto anche alla Corte di appello di Helsinki ritenendo che vi fosse stata una sottrazione di minore, ma i giudici finlandesi avevano respinto il ricorso non ritenendo che si fosse in presenza di un trasferimento illecito tenendo conto che detto trasferimento era stato ordinato dalle autorità svedesi. La Corte Suprema finlandese, prima di decidere, si è rivolta alla Corte UE che si è pronunciata con procedura d’urgenza.
Prima di tutto, la Corte di giustizia ha accertato che, poiché il regolamento n. 2201/2003, all’articolo 1, par. 1, lett. b) dispone che l’indicato regolamento si applica alle materie civili relative alla responsabilità genitoriale, indipendentemente dal tipo di autorità giurisdizionale adita, tale nozione “deve essere intesa non in termini restrittivi, bensì quale nozione autonoma del diritto dell’Unione”. Pertanto, il giudice adito, per accertare che si sia in presenza di una questione rientrante nella materia civile deve tenere conto esclusivamente del diritto UE come interpretato in varie occasioni dalla Corte di giustizia e, quindi, concludere che sono incluse nella nozione di “materie civili” tutte le domande, i provvedimenti o le decisioni in materia di responsabilità genitoriale, “indipendentemente da qualsiasi nesso con un procedimento matrimoniale”. Lo stesso elenco contenuto nell’articolo 1 – prosegue la Corte – non è esaustivo anche in ragione del fatto che, prima di elencare le materie quali il diritto di affidamento e il diritto di visita, è espressamente sottolineato “in particolare” e, quindi, da questo risulta che l’elenco è solo esemplificativo. Considerato che la richiesta del padre era centrata sul ritorno immediato del minore in Svezia, in base alla Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale del minore (ratificata dall’Italia con l. n. 64/1994), che ha l’obiettivo di assicurare l’immediato ritorno dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato contraente e che, in base all’articolo 60 del regolamento n. 2201/2003, “Nei rapporti tra gli Stati che ne sono parti, il presente regolamento prevale sulle convenzioni seguenti, nella misura in cui queste riguardino materie da esso disciplinate”, tra le quali è indicata anche la Convenzione dell’Aja del 1980, il regolamento è applicabile. Detto questo, però, è da escludere la classificazione dell’atto della madre come sottrazione di minore perché la donna aveva riportato il figlio in Finlandia, malgrado la residenza abituale in Svezia, ma solo per adempiere a una decisione delle autorità nazionali competenti in base al regolamento Dublino III. Pertanto, nei casi in cui un genitore esegua un obbligo non si può configurare un comportamento illecito da parte della madre. Né si può ritenere – chiarisce la Corte – che la madre avesse commesso un illecito per il fatto di essere rimasta in Finlandia, ossia nello Stato membro competente per il trattamento della domanda di protezione internazionale “anche in seguito all’annullamento della decisione di trasferimento”, perché la decisione di ripresa in carico non era stata adottata. Solo di sfuggita, la Corte si è soffermata sulla questione dell’eventuale prevalenza di uno dei due regolamenti (Bruxelles II bis e Dublino III). Se alla madre, che aveva presentato una richiesta di protezione internazionale, venisse richiesto di non ottemperare alla decisione di trasferimento perché altrimenti il suo comportamento sarebbe considerato illecito ai sensi del regolamento n. 2201/2003, “si pregiudicherebbe il principio della certezza del diritto e la realizzazione degli obiettivi del regolamento Dublino III”, affermazione che porta a ritenere che sia in ogni caso necessario attuare i provvedimenti emessi in base al regolamento Dublino.
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