La Corte Ue chiarisce i criteri per la deroga al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali per gli architetti

Riconoscimento automatico per le qualifiche professionali degli architetti, ma anche un esame caso per caso in presenza di titoli particolari e di ragioni specifiche ed eccezionali. E’ la Corte di giustizia dell’Unione europea a chiarire il concreto funzionamento del sistema di riconoscimento per gli architetti, nella sentenza C-477/13 depositata il 16 aprile (architetto), con la quale Lussemburgo ha precisato la portata dell’articolo 10 della direttiva 2005/36 sul riconoscimento delle qualifiche professionali (recepita con Dlgs n. 206/2007), modificata dalla 2013/55. Al centro della vicenda, la richiesta di un cittadino tedesco che svolgeva la sua attività di perito edile in Austria. L’uomo aveva presentato una domanda di iscrizione nell’albo dei prestatori esteri dell’Ordine degli architetti della Baviera. La domanda era stata respinta, ma dinanzi ai giudici amministrativi aveva avuto ragione. La Commissione dell’Ordine degli architetti aveva impugnato la decisione in Cassazione che ha chiamato in aiuto Lussemburgo.

Prima di tutto, la Corte di giustizia ha chiarito la portata del regime generale basato sul riconoscimento automatico dei titoli dell’allegato V che coordina le condizioni minime di formazione per gli architetti. In casi eccezionali, in deroga al sistema generale, è predisposto un esame caso per caso dei titoli. Che, però, – osservano gli eurogiudici – va applicato solo con la presenza cumulativa di due condizioni: ossia il possesso di un titolo non rientrante tra quelli inclusi nell’allegato V e l’esistenza di una ragione specifica ed eccezionale.  E qui la Corte dà un contributo essenziale considerando che nella direttiva manca l’indicazione di criteri idonei a individuare le ragioni invocabili. Sono due – osserva la Corte – le situazioni che permettono di invocare le ragioni specifiche ed eccezionali: un errore delle autorità nazionali competenti che non hanno notificato alla Commissione il titolo di formazione del richiedente e l’ipotesi in cui quest’ultimo non può invocare il titolo e il percorso accademico e professionale “a motivo del luogo in cui ha ottenuto il titolo”. Si tratta, così, sia di circostanze relative a ostacoli istituzionali e strutturali, sia di circostanze “legate alla situazione personale del richiedente”. Con un limite – avverte Lussemburgo – perché il richiedente non può avvalersi di qualifiche professionali che nel suo Stato membro di origine “gli aprono l’accesso ad una professione diversa da quella che intende esercitare nello Stato membro ospitante”. In ultimo, precisata la questione più generale che coinvolge anche le altre professioni armonizzate, la Corte ha riconosciuto che spetta allo Stato membro ospitante individuare le attività che rientrano nel settore dell’architettura considerato che la direttiva non si propone di regolare le condizioni di accesso alla professione.

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