La Corte internazionale di giustizia torna sull’applicazione della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 24 aprile 1963. Con la sentenza depositata ieri, i giudici internazionali, nel caso India contro Pakistan (Jadhav case, 168-20190717), hanno accertato, fondando la giurisdizione sul Protocollo opzionale in base al quale le controversie relative all’interpretazione o all’applicazione della Convenzione sono obbligatoriamente di competenza della Corte internazionale di giustizia, la violazione del trattato internazionale. Questo perché lo Stato convenuto non ha concesso a un cittadino indiano condannato a morte da un tribunale militare del Pakistan di poter incontrare e chiedere assistenza al proprio console, così non permettendo, di fatto, la piena realizzazione del diritto di difesa. I giudici della Corte dell’Aja, tuttavia, pur avendo ordinato al Pakistan di riconsiderare la condanna a morte, non hanno accolto la richiesta del Governo indiano relativa all’annullamento del verdetto.
La vicenda è stata portata all’attenzione della Corte internazionale di giustizia dall’India. Il Governo di Nuova Delhi aveva presentato ricorso alla Corte internazionale di giustizia l’8 maggio 2017 sostenendo che il Pakistan avesse violato la Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, ratificata da entrambi gli Stati. Questo perché un suo cittadino non aveva potuto avvalersi dell’articolo 36 della Convenzione che disciplina le comunicazioni con il console del proprio Stato perché, una volta arrestato, non aveva potuto contattare e incontrare il console. Inoltre, stando alla ricostruzione dell’India, contestata dal Pakistan, malgrado le autorità nazionali di Nuova Delhi avessero presentato più volte la richiesta di poter comunicare con il proprio cittadino, ogni istanza era stata respinta. L’uomo, ritenuto colpevole di spionaggio e terrorismo, era stato condannato a morte ed è in attesa dell’esecuzione della pena capitale. L’India aveva anche chiesto alla Corte di concedere le misure provvisorie che erano state concesse e i giudici internazionali avevano ordinato al Pakistan di sospendere l’esecuzione. Con la sentenza di ieri, la Corte ha constatato la violazione della Convenzione di Vienna e ha respinto la tesi pachistana secondo la quale l’articolo 36 escluderebbe alcune categorie di persone dall’assistenza consolare, in particolare nei casi di spionaggio. La Corte ha sottolineato che lo Stato è tenuto a informare lo straniero del suo diritto ad ottenere l’assistenza consolare perché solo così il detenuto è in grado di poter esercitare i diritti previsti nel tratto internazionale. Non solo. L’articolo 36 richiede che la notifica sia effettuata senza ritardo e, così, l’informazione dopo tre settimane non può essere considerata conforme agli obblighi internazionali. Respinta la tesi dell’abuso del diritto da parte dell’India, la Corte ha osservato che il mancato accesso al console comporta una violazione del diritto di difesa. Il Pakistan, stando al verdetto della Corte, dovrà sospendere l’esecuzione della pronuncia e consentire il contatto con l’autorità consolare in linea con l’articolo 36 della Convenzione. Per l’Aja spetta però al Pakistan la scelta dei mezzi che porteranno a riconsiderare la situazione del condannato.
Aggiungi un commento