Se le dichiarazioni sono rese in buona fede, nell’ambito di un dibattito su una questione di interesse pubblico, come l’intervento della polizia durante manifestazioni e occupazioni, una condanna per diffamazione inflitta a chi usa espressioni forti è contraria all’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura il diritto alla libertà di espressione. Lo ha chiarito la Corte di Strasburgo con la sentenza Toranzo Gómez (ricorso n. 26922/14, CASE OF TORANZO GOMEZ v. SPAIN ) che ha portato alla condanna della Spagna per violazione dell’indicata norma. A rivolgersi alla Corte, un attivista spagnolo che, nel corso di un intervento della polizia che voleva liberare lo stabile occupato da lui e altri attivisti, era stato costretto a uscire da un tunnel utilizzando, su decisione della polizia, una corda. L’uomo, nel corso della conferenza stampa, aveva definito come tortura gli atti di alcuni poliziotti ed era stato condannato per diffamazione. Di qui il ricorso a Strasburgo che gli ha dato ragione. Per la Corte l’ingerenza nella libertà di espressione del ricorrente non era necessaria in una società democratica. E’ vero che l’attivista aveva usato un certo grado di esagerazione nel definire le azioni della polizia come tortura, ma certamente l’intervento delle forze dell’ordine aveva causato angoscia e uno stato di timore, con sofferenze anche di carattere fisico. Irrilevante il precedente comportamento del manifestante che aveva provocato l’intervento della polizia. Per la Corte, le dichiarazioni del ricorrente dovevano essere considerate alla luce del contesto nel quale erano state rese, tenendo conto, altresì, che l’attivista non aveva fatto riferimento ad alcun aspetto della vita privata dei poliziotti soffermandosi unicamente sul loro comportamento come organi dello Stato. Sicuro, quindi, l’interesse della collettività su tali vicende. Per Strasburgo, inoltre, non è importante un errore nella qualificazione tecnica delle azioni dei poliziotti. E’ vero che gli atti non potevano essere qualificati come tortura, ma l’espressione del ricorrente conteneva solo un giudizio di valore per il quale non è richiesta la prova. A ciò si aggiunga che sussisteva una base fattuale sufficiente anche se dal punto di vista tecnico gli atti non erano classificabili come tortura. I giudici nazionali avrebbero dovuto considerare tale aspetto e la circostanza che il ricorrente intendeva evidenziare unicamente che l’uso della forza era stato eccessivo e sproporzionato. I tribunali interni non hanno considerato, inoltre, se l’indicata qualificazione avesse avuto effetti negativi sui poliziotti. Sul fronte delle conseguenze per la condanna per diffamazione, secondo la Corte, la sanzione pari a una multa e a una riparazione di 1.200 euro è stata sproporzionata, tenendo conto che, in caso di mancato pagamento, l’uomo avrebbe potuto subire il carcere E questo, per la Corte, produce un chilling effect sulla libertà di espressione. Di qui la condanna della Spagna tenuta a rimborsare, per il danno materiale, l’intero importo versato dal ricorrente nonché 4mila euro per il danno non patrimoniale e 3mila per le spese processuali.
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