Il riconoscimento della sentenza pronunciata dal Tribunale sciaraitico di Nablus (Palestina) sullo scioglimento del matrimonio, celebrato sempre in Palestina tra due coniugi aventi doppia nazionalità, italiana e giordana, al centro dell’attenzione della Corte di cassazione che, con ordinanza interlocutoria n. 6161 depositata il 1° marzo, ha chiesto, prima di pronunciarsi sul riconoscimento, di acquisire il quadro normativo relativo al procedimento di divorzio in Palestina (6161). La Corte di appello di Roma aveva disposto la cancellazione della trascrizione della decisione nei registri dello stato civile ritenendo violato l’articolo 64 della legge n. 218/1995, anche per violazione del diritto di difesa della moglie nel procedimento giudiziale. Così, il marito ha proposto ricorso in Cassazione ritenendo, tra l’altro, che i giudici di appello non avevano correttamente applicato l’articolo 14 della legge di diritto internazionale privato non considerando che nell’ordinamento straniero era stato superato l’istituto del ripudio islamico del marito e che la pronuncia di divorzio era stata pronunciata dopo la verifica del venire meno della comunione materiale e spirituale tra i coniugi, in contraddittorio tra le parti.
Per la Corte di Cassazione, per verificare l’effettiva contrarietà all’ordine pubblico internazionale del provvedimento di divorzio adottato dal Tribunale sciaraitico palestinese, è necessario, in linea con l’articolo 14, acquisire la legge palestinese con la traduzione in italiano per accertare la natura giurisdizionale del tribunale sciaraitico, le garanzie processuali assicurate alla donna e la portata della facoltà di ripudio. Ed invero, per la Cassazione, va anche considerata la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che, con la pronuncia del 20 dicembre 2017 (C-372/16), ha chiarito che la dichiarazione unilaterale di divorzio resa da un tribunale religioso di uno Stato terzo non rientra nella nozione di divorzio in base al regolamento n. 2201/2003, con la conseguenza che le pronunce di questo genere sono escluse dall’ambito di applicazione delle norme europee di conflitto. Così, la Cassazione, prima di pronunciarsi sul ricorso, ha chiesto una relazione di studio all’Ufficio del Massimario “per acquisire un quadro sistematico dei contributi offerti, sul tema, dalla giurisprudenza, anche eurounitaria e della Corte europea dei diritti dell’uomo, e dalla dottrina, nonché per acquisire informazioni rilevanti sulla giurisprudenza dei paesi in cui si è posta la questione del riconoscimento del talaq o di istituti analoghi”.
Maria Teresa Spagnoletti Zeuli
aprile 4, 2019Sentenza interessantissima, non solo per la conclusione cui è pervenuta, e che evidenzia l’importanza del ruolo che il limite dell’ordine pubblico internazionale può assumere; ma soprattutto per il metodo utilizzato dalla Cassazione per pervenirvi: un approfondito studio che attraverso la comparazione giuridica ha consentito di tener conto di norme provenienti da fonti e sistemi giuridici diversi, alla luce altresì della dottrina rilevante.