Il controllo sulla corrispondenza tra detenuto e avvocato, effettuato da un funzionario di polizia penitenziaria, autorizzato dal giudice dell’esecuzione, è contrario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo se non ha portata eccezionale. Questo anche quando, secondo le autorità nazionali competenti, il legale ha consegnato un libro ritenuto “pericoloso” e non necessario alla difesa del cliente. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza depositata il 9 aprile (ricorso n. 11236/09, CASE OF ALTAY v. TURKEY (No. 2)) con la quale Strasburgo ha accertato la violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e dell’articolo 6, paragrafo 1 della Convenzione europea (equo processo). Questo perché non è stato garantito il diritto alla riservatezza nelle conversazioni cliente – avvocato.
A rivolgersi alla Corte era stato un cittadino turco condannato all’ergastolo per aver provato un attentato all’ordine costituzionale. Il suo legale gli aveva spedito un libro e un settimanale. Secondo la Turchia questi testi non avevano alcun rilievo per la difesa e, quindi, non vi era stata una violazione della Convenzione. Di diverso avviso la Corte europea che, ammessa la possibilità di imporre sugli avvocati taluni obblighi nell’ambito delle relazioni con i clienti, ha sottolineato il ruolo vitale dell’avvocato nell’amministrazione della giustizia e, quindi, l’obbligo delle autorità nazionali di assicurare che ogni limitazione abbia una portata eccezionale. Di conseguenza, le autorità penitenziarie non possono bloccare la consegna di un testo inviato dal legale al cliente sul solo presupposto che non è strettamente collegato alla difesa del detenuto. Di qui la condanna allo Stato anche al pagamento di 2mila euro per i danni non patrimoniali.
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