La Cedu ordina all’Italia di reintegrare una madre nell’esercizio dei propri diritti genitoriali

Con la sentenza depositata il 28 aprile, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 8 della Convenzione che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare perché, in via di fatto, non ha reintegrato una madre nell’esercizio della responsabilità genitoriale, fondando la decisione negativa per la donna su relazioni di esperti risalenti a molti anni prima (ricorso n. 68884/13, AFFAIRE CINCIMINO c. ITALIE). La circostanza che le autorità interne si siano basate su dati vecchi e sulla dichiarazione della minore fa dire alla Corte che l’iter decisionale non è stato conforme alla Convenzione. A Strasburgo si era rivolta una donna impossibilitata ad avere contatti con la propria figlia in attuazione del provvedimento dell’autorità giudiziaria. Dopo la separazione, la bambina era stata affidata al padre con diritto della madre a incontrare la figlia due pomeriggi alla settimana in presenza di un assistente sociale. Il tribunale, sulla base di alcune valutazioni di esperti, aveva deciso di sospendere la responsabilità genitoriale e di proibire contatti diretti con la figlia. La donna, inoltre, doveva sottoporsi a una terapia, ma non l’aveva seguita mantenendo un atteggiamento ostile verso gli assistenti sociali. Di qui la conferma del no al diritto di visita, provvedimento confermato dalla Corte di appello che aveva valutato gli effetti negativi del contatto con la madre sul benessere della bambina.

La Corte europea riconosce che gli Stati hanno un ampio margine di discrezionalità nell’individuazione dei provvedimenti idonei a garantire il rispetto del diritto alla vita familiare ma sono tenuti a prestare una particolare attenzione alle misure che comportano una rottura nei rapporti genitori e figli, privando questi ultimi delle proprie radici. Nel caso all’attenzione di Strasburgo, è vero che la madre aveva avuto alcuni problemi ma le autorità nazionali non hanno considerato i progressi compiuti dalla donna. A  fronte di un nuovo ricorso della madre della minore, gli organi competenti hanno dato grande peso all’audizione della minore la quale aveva dichiarato di non voler avere contatti con la madre che, d’altra parte, non vedeva da 7 anni. Tuttavia, non erano stati nominati nuovi esperti e la nuova decisione era stata presa basandosi su valutazioni risalenti al 2003 e al 2006. Di qui la conclusione della Corte europea di condanna all’Italia perché il processo decisionale nazionale non ha soddisfatto gli obblighi procedurali inerenti all’articolo 8. Lo Stato è stato condannato non solo a versare 32mila alla ricorrente per i danni non patrimoniali subiti, ma anche ad adottare una misura individuale ossia riesaminare la domanda della donna di reintegro nell’autorità genitoriale seguendo le indicazioni di Strasburgo e, quindi, tenendo conto della situazione attuale della madre e dell’interesse superiore del minore.

 

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