Nell’effettuare un bilanciamento tra diritti in gioco come la libertà di espressione e il diritto alla reputazione i giudici nazionali devono valutare, in ogni circostanza, l’interesse pubblico dell’argomento in discussione, senza richiedere a colui che esercita il diritto alla libertà di espressione uno standard di due diligence più alto rispetto ai casi in cui si tratti di giornalisti. Lo ha precisato la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Braun contro Polonia depositata il 4 novembre (ricorso n. 30162/10, BRAUN v POLAND). A rivolgersi a Strasburgo era stato uno storico e collaboratore di diversi giornali che, nel corso di una trasmissione televisiva, aveva accusato un professore di aver svolto il ruolo di confidente durante il comunismo. L’università aveva svolto indagini ma aveva accertato che non vi erano prove sufficienti per affermare che il professore era stato un collaboratore dei servizi segreti. Di qui la condanna per diffamazione e il successivo ricorso alla Corte europea che ha dato ragione al ricorrente. Per Strasburgo, i giudici nazionali non hanno applicato in modo corretto gli standard e i parametri fissati dalla stessa Corte europea, non effettuando un giusto bilanciamento tra diritto alla libertà di espressione garantita dall’articolo 10 della Convenzione e diritto alla reputazione assicurato dall’articolo 8. Per accertare se l’ingerenza nella libertà di espressione fosse stata legittima, la Corte ha proceduto a una valutazione sulle modalità con le quali i giudici nazionali hanno affrontato la vicenda. Strasburgo considera che la Corte suprema non ha tenuto in adeguata considerazione il fatto che si trattava di una questione di interesse generale, oggetto di un dibattito pubblico. Non solo. I giudici nazionali hanno ritenuto che la valutazione del parametro della due diligence e della buona fede dovessero essere presi in considerazione solo nei confronti di un giornalista, in pratica limitando il diritto alla libertà di espressione degli altri individui. Una conclusione contraria alla Convenzione. Per la Corte europea, infatti, la Convenzione “assicura una protezione a tutti coloro che partecipano nel dibattito su questione di interesse pubblico”. Pertanto, i giudici nazionali non possono richiedere uno standard di due diligence più elevato per il solo fatto che il ricorrente non era un giornalista. Di conseguenza, poiché la Corte suprema ha imposto allo storico di dimostrare la veridicità delle proprie dichiarazioni, la Polonia ha agito in contrasto con la Convenzione europea.
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