La Convenzione tra Italia e Russia sull’assistenza giudiziaria in materia civile del 25 gennaio 1979 (ratificata dall’Italia con legge n. 766 dell’11 dicembre 1985) non contiene norme sulla giurisdizione ma stabilisce unicamente le condizioni di riconoscibilità delle sentenze e, di conseguenza, per stabilire se il giudice italiano può pronunciarsi su una controversia tra la società Reti Televisive Italiane (RTI) e una società di diritto russo, va applicata la legge n. 218/95 e la Convenzione di Bruxelles del 1968, con la conseguenza che sussiste la giurisdizione del giudice italiano.
E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 21351 depositata il 6 luglio 2022 (ordinanza): la società italiana contestava a quella russa di aver consentito ai propri utenti di caricare molti brani e filmati della RTL, mettendoli poi a disposizione del pubblico. Pertanto, la RTL aveva chiesto la condanna al risarcimento dei danni per responsabilità extracontrattuale, concorrenza sleale parassitaria e violazione del diritto d’autore. L’azienda russa contestava la giurisdizione del giudice italiano e, così, si è rivolta alla Cassazione che, però, ha respinto il ricorso. Esclusa l’applicazione della Convenzione italo-russa, la Cassazione ha ritenuto applicabile la legge n. 218/95 e l’art. 5, par. 3 della Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, anche nel caso di convenuto non domiciliato o residente in Italia, né appartenente a uno Stato contraente perché “il rinvio a dette regole [è] destinato ad operare oltre la sfera dell’efficacia personale della Convenzione medesima”. La Corte ha chiarito che il regolamento n. 1215/2012 ha preso il posto della Convenzione di Bruxelles con solo riferimento agli Stati membri dell’Unione europea, ma va applicato l’art. 5, par. 3 della Convenzione di Bruxelles. Pertanto, per la Suprema Corte sussiste la giurisdizione del giudice italiano in quanto giudice del luogo in cui si è prodotto il danno o, in alternativa, giudice del luogo in cui si è verificato l’evento generatore del danno, con riferimento al petitum sostanziale. La società russa non solo non ha attivato una rapida procedura di rimozione dei contenuti, ma ha svolto un ruolo di hosting provider attivo, con azioni che hanno portato a caricare i contenuti da un unico utente italiano, con “conseguente produzione del danno iniziale in Italia”. La Cassazione ha escluso, inoltre, la necessità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea “sull’art. 5.3 della Convenzione di Bruxelles del 1968, la cui corretta interpretazione s’impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi”. La Suprema Corte non ha invece ritenuto esistente un ulteriore criterio di collegamento con la giurisdizione italiana relativo alla violazione dei diritti di proprietà industriale fondato sull’art. 120 c.p.i. perché questa norma riguarda unicamente le azioni in tema di registrazione e validità del titolo di privativa.
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