Nel decidere la permanenza in Italia del genitore del minore migrante, secondo l’articolo 31 del Dlgs 286/1998, non va applicata un’interpretazione restrittiva perché, in linea con la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176, va salvaguardato l’interesse superiore del minore che implica avere rapporti continuativi con entrambi i genitori, “anche in deroga alle altre disposizioni del decreto”. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 197 depositata l’11 gennaio 2021 (197). La Suprema Corte ha accolto il ricorso di un cittadino straniero, padre di due bambine, che si era visto respingere, dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria e poi dalla Corte di appello, l’autorizzazione a rimanere sul territorio nazionale perché non erano stati dimostrati “i gravi motivi connessi allo sviluppo psico fisico delle minori” in caso di allontanamento dei genitori o di ritorno in patria dell’intero nucleo familiare. Di diverso avviso la Cassazione, secondo la quale l’articolo 31 (“disposizioni a favore dei minori”) non è soggetto a un’interpretazione restrittiva perché va tutelato il diritto del minore ad avere rapporti continuativi con entrambi i genitori e va considerato, inoltre, ogni danno grave che un minore, “sulla base di un giudizio prognostico”, potrebbe avere, con un peggioramento delle sue condizioni di vita. Pertanto, è necessario un esame del caso concreto prestando particolare attenzione all’età dei minori, “che assume un rilievo presuntivo crescente con l’aumentare della stessa”. Va anche considerato il radicamento sul territorio italiano il cui rilievo presuntivo è invece crescente con l’aumentare dell’età, in ragione delle esigenze di stabilità affettiva, nonché, alla luce dell’articolo 3 Convenzione sui diritti del fanciullo, la condizione di vulnerabilità del minore che è prevalente rispetto ad altre esigenze come quelle derivanti dalle regole sul diritto di ingresso e di soggiorno. Tuttavia, la Suprema Corte osserva che, se in base alla Convenzione l’interesse superiore del minore deve essere valutato in ogni decisione presa dalle autorità nazionali, ciò non vuol dire che le esigenze di legalità e di sicurezza sottese a un provvedimento di espulsione non debbano essere considerate. Ma, in ogni caso, il no all’ingresso o alla permanenza del familiare del minore straniero che si trova in Italia non può essere una conseguenza automatica di una pronuncia di condanna per reati che pure sono considerati dalla normativa italiana ostativi all’ingresso. E’ così necessaria, prima dell’adozione di un simile provvedimento, un “esame circostanziato del caso” e un “bilanciamento con l’interesse del minore” che ha un valore prioritario anche se non assoluto. Di conseguenza, poiché nel provvedimento della Corte di appello non è emersa la minaccia per l’ordine pubblico come predominante rispetto all’interesse delle minori coinvolte, la Cassazione ha accolto il ricorso e ha rinviato la vicenda alla Corte di appello di Reggio Calabria, che si pronuncerà in diversa composizione.
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