La decisione sulla consegna di un condannato, in esecuzione di un mandato di arresto, va differita se non sono stati presentati i documenti richiesti all’autorità emittente da quella di esecuzione, necessari ad accertare che la situazione detentiva non si concretizzi in un trattamento disumano e degradante. Non si pone, invece, alcuna questione di legittimità costituzionale per le modifiche introdotte alla legge n. 69/2005 con la quale è stata recepita la decisione quadro n. 2002/584 sul mandato di arresto europeo e le procedure di consegna tra Stati membri, dal decreto legislativo n. 10 del 2021 (Dlgs MAE), a seguito del quale non è più necessario allegare al mandato di arresto la motivazione della sentenza. Di conseguenza, il mandato di arresto può essere emesso sulla base del solo dispositivo, a condizione che il deposito delle motivazioni avvenga. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 14220, depositata il 15 aprile (sentenza MAE). Il destinatario di un mandato di arresto aveva impugnato la decisione di consegna disposta dalla Corte di appello di Bologna su richiesta della autorità rumene a seguito di una sentenza di condanna a otto anni, immediatamente esecutiva.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso solo in parte. Da un lato, infatti, la Corte ha escluso che l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 10 del 2021, avvenuta il 20 febbraio, costituisca una violazione del principio di legalità precisando che la modifica del regime applicabile “incide su aspetti processuali relativi alle modalità ed ai presupposti per la consegna, in applicazione al principio generale del tempus regis actum”. La Cassazione ha precisato, altresì, che le modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 10 non richiedono più che la sentenza sia irrevocabile poiché è sufficiente che sia esecutiva sul piano interno, tanto più che non spetta all’autorità giudiziaria italiana “sindacare, sulla base di quali presupposti normativi dell’ordinamento dello Stato di emissione sia stata affermata la esecutività della sentenza di condanna”. Il mandato di arresto – sottolinea la Suprema Corte – è per sua natura autosufficiente; inoltre, anche qualora non sia allegata la motivazione, i propri diritti di difesa potranno essere fatti valere secondo le regole dell’ordinamento estero (proprio nel caso di specie la condanna era stata già impugnata in Romania). Unico punto sul quale la Suprema Corte dà ragione al ricorrente è la circostanza che sia necessario accertare che non vi siano rischi di trattamenti inumani e degradanti perché, malgrado la modifica dell’articolo 18 della legge n. 69, l’esecuzione di un mandato di arresto non può mai comportare la violazione dei “principi supremi dell’ordinamento costituzionale dello Stato o dei diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione”, nonché dell’articolo 6 del Trattato Ue o dei diritti garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
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