E’ conforme alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo la decisione del giudice nazionale di non sentire il minore se ritiene che proprio l’età gli impedisce di avere piena consapevolezza della materia trattata. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, prima sezione civile, con ordinanza n. 4248/19 depositata il 13 febbraio (ordinanza). A rivolgersi alla Suprema Corte era stato il padre di una minore, il quale contestava l’attribuzione del proprio cognome alla figlia. La madre della bambina aveva presentato al Tribunale dell’Aquila la richiesta di attribuzione del cognome paterno alla figlia. L’istanza, accertata la paternità con sentenza passata in giudicato, era stata accolta, ma il padre aveva impugnato il provvedimento contestando, altresì, il mancato ascolto della minore in contrasto, a suo dire, con la Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata con legge 27 maggio 1991 n. 176 e con la Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 25 gennaio 1996, ratificata dall’Italia con legge n. 77 del 20 marzo 2003.
Di diverso avviso la Cassazione, che ha respinto il ricorso. Per la Suprema Corte, infatti, è vero che l’audizione dei minori è un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie e che è centrale per il riconoscimento del diritto fondamentale del minore ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, ma nel caso di minore di età inferiore a sei anni l’omissione dell’ascolto, decisa dai giudici di merito, è compatibile con la Convenzione. Questo perché, nell’effettuare l’indicata scelta, il tribunale ha fornito una motivazione adeguata chiarendo che, proprio in ragione dell’età, “la minore non potesse discernere in ordine alla materia trattata quale fosse il proprio intendimento”.
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