Se dopo l’adozione di una misura cautelare reale come il sequestro preventivo di un terreno sul quale è stata effettuata la semina di una coltivazione di mais OGM interviene una pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea che, in via di fatto, indica conclusioni diverse in ordine ai presupposti della violazione che hanno determinato la misura cautelare, è indispensabile una nuova valutazione della situazione. Questo per rispettare a pieno il diritto Ue. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 48196 del 19 ottobre 2017 (OGM), alla quale si era rivolta un agricoltore che aveva subito il sequestro preventivo di un terreno sul quale era stato seminato e lavorato del mais di una particolare specie, vietata da un decreto ministeriale. La richiesta di annullamento è stata accolta dalla Cassazione che ha dato seguito alla pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea che, con la sentenza del 13 settembre 2017 (C-111/16), su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Udine, ha escluso – scrive la Cassazione – “la possibilità di applicare misure di emergenza provvisorie sulla base del solo principio di precauzione”. E questo perché per tale applicazione è necessario il rispetto dell’articolo 34 del regolamento n. 1829/2003 relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati e, quindi, “una manifesta condizione di grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l’ambiente, suffragata da valutazioni scientifiche il più possibile complete”. E’ vero, poi, che la direttiva 2015/412 ha modificato la precedente direttiva 2001/18, permettendo agli Stati membri di vietare o limitare la coltivazione di OGM anche per motivi diversi rispetto a quelli sanitari e ambientali, ma questo non comporta una modificazione dell’articolo 34 del regolamento n. 1829/2003 anche perché la direttiva non era applicabile dal punto di vista temporale e perché i motivi alla base della nuova direttiva non comportano l’affermazione di una nozione onnicomprensiva del principio di precauzione. Di qui la decisione di chiedere al Tribunale di Pordenone un nuovo esame della questione alla luce della pronuncia di Lussemburgo.
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