Le autorità italiane sapevano della extraordinary rendition di Abu Omar organizzata dalla Cia e ben quattro Governi hanno abusato del segreto di Stato impedendo di far luce sulle gravi violazioni dei diritti dell’uomo di cui Abu Omar è stato vittima. Una sentenza, quella resa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, depositata il 23 febbraio (AFFAIRE NASR ET GHALI c. ITALIE), che non solo accerta con chiarezza le violazioni della Convenzione perpetrate dall’Italia, condannata per violazione dell’articolo 3 (divieto di tortura e trattamenti disumani e degradanti), del 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), dell’articolo 13 (diritto alla tutela giurisdizionale effettiva), ma colpisce a tutto campo le istituzioni. Dal Governo che ha abusato del segreto di Stato favorendo l’impunità dei responsabili, alla Corte costituzionale, passando per il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in primis, che ha concesso la grazia a due agenti della Cia condannati dai giudici italiani. Tutti sul banco degli “imputati” della Corte proprio a causa degli atti volti unicamente a sbarrare la strada alla realizzazione della giustizia.
Respinta la debole eccezione del Governo italiano sul previo esaurimento dei ricorsi interni, la Corte ha smontato pezzo per pezzo le tesi del Governo che mai come questa volta si è arrampicato sugli specchi. A rivolgersi alla Corte Abu Omar e sua moglie. Arrivato in Italia nel 1998 e divenuto imam nel 2000, Abu Omar aveva ottenuto l’asilo per motivi politici. Accusato di far parte di un’organizzazione terroristica e condannato poi dal Tribunale di Milano nel 2013, l’imam fu rapito nel centro di Milano nel 2003. Portato nella base Usa di Aviano e poi in quella di Ramstein in Germania, Abu Omar fu consegnato dagli autori del rapimento, ossia gli agenti della Cia, nelle mani dei servizi segreti egiziani. Torturato a più riprese, fu rilasciato nel 2004. La Procura di Milano aveva aperto un’indagine per sequestro di persona. L’inchiesta, che vedeva al centro agenti della Cia e dei servizi segreti italiani (SISMI), è stata lunga e piena di ostacoli anche a causa del Governo che non aveva voluto chiedere l’estradizione degli agenti Usa coinvolti. Malgrado gli ostacoli, con sentenza del 4 novembre 2009, il Tribunale di Milano ha condannato 23 cittadini Usa (22 agenti della Cia e il colonnello Romano) e 2 agenti italiani del SISMI, tenuti a versare un indennizzo alla vittima. In appello la condanna dei due italiani era stata annullata. Questo perché era intervenuta, a seguito del conflitto di attribuzione sollevato dal Governo, la sentenza n. 106/2009 della Corte costituzionale resa il 18 marzo 2009. Per la Consulta i due agenti del SISMI non potevano essere interrogati perché non potevano divulgare fatti coperti dal segreto di Stato, principio che secondo la Corte costituzionale andava esteso anche alla successiva azione civile funzionale a corrispondere il risarcimento dovuto ad Abu Omar. Il procedimento era continuato con la Corte di appello di Milano che nel 2013 aveva condannato alcuni funzionari del Sismi alla reclusione ma, dopo un nuovo intervento della Consulta, la Corte di cassazione aveva dovuto annullare le condanne.
Prima di tutto, la Corte europea riconosce che a livello nazionale sono state condotte indagini idonee a ricostruire gli eventi ma tutto è stato vanificato dal segreto di Stato concesso dalla stessa Corte costituzionale. Strasburgo tiene infatti a precisare che, a differenza di altri casi arrivati nelle proprie aule di giustizia (El Masri, Husayn e Al Nashiri), le autorità inquirenti italiane hanno svolto un’indagine approfondita che, per la prima volta, ha permesso la ricostruzione dei fatti anche a livello nazionale. La Corte, quindi, “rende omaggio al lavoro dei magistrati nazionali che hanno fatto tutto il possibile per stabilire la verità”. Ma nulla hanno potuto di fronte all’abuso del segreto di Stato opposto da ben 4 Governi (Prodi, Berlusconi, Monti e Letta) certo non funzionale a tenere coperti i fatti, ben noti anche grazie alla stampa, ma piuttosto a garantire l’impunità degli agenti del Sismi. Non solo. Il Governo non ha mai chiesto l’estradizione degli agenti della Cia (salvo per uno degli imputati) e due Presidenti della Repubblica hanno concesso la grazia a tre agenti americani condannati, malgrado la gravità del fatto. Di conseguenza, la punizione dei colpevoli non è stata effettiva nonostante gli sforzi degli inquirenti e dei giudici italiani. E’ evidente, quindi, che un principio legittimo come quello del segreto di Stato è stato utilizzato con il solo obiettivo di impedire che i responsabili fossero chiamati a rispondere delle proprie azioni. Di qui la violazione dell’articolo 3 che vieta la tortura e i trattamenti disumani e degradanti, tenendo conto che gli Stati non solo devono impedire atti di questo genere, ma sono anche tenuti ad individuare e punire i colpevoli. Altri elementi poi portano la Corte a stigmatizzare il comportamento dell’Italia tenendo conto che il Governo si è rifiutato di chiedere l’estradizione, malgrado l’esistenza di uno specifico trattato con gli Usa. Senza dimenticare la grazia che ha, di fatto, sottratto tre condannati per l’extraordinary rendition alla giustizia. Pertanto, conclude Strasburgo, nel caso in esame la responsabilità dello Stato non è dovuta all’assenza di disposizioni sulla tortura nel codice penale, perché l’impunità è diretta conseguenza del comportamento del Governo e del Presidente della Repubblica.
La Corte europea, poi, in modo analogo ad altri casi, ha considerato i piani di consegna straordinaria organizzati dalla CIA come tortura e ha ritenuto che le autorità italiane erano a conoscenza della extraordinary rendition targata Cia e, quindi, del trasferimento all’estero e del rischio di tortura. E’ così evidente che lo Stato non ha adottato le misure necessarie per impedire che gli individui sotto la propria giurisdizione fossero soggetti a tortura o trattamenti disumani e degradanti. La Corte, in linea con altre sentenze sulle renditions, ha anche constatato la violazione dell’articolo 5 in considerazione del fatto che l’uomo è stato privato della libertà in modo arbitrario e dell’articolo 8 che assicura il diritto al rispetto della vita privata. In ultimo, proprio tenendo conto degli effetti negativi provocati dal segreto di Stato ai fini dell’accertamento della verità, considerando che molte prove non sono state utilizzate e che il ricorrente non ha avuto rimedi giurisdizionali effettivi, la Corte ha condannato l’Italia a versare ai due ricorrenti 85mila euro per i danni non patrimoniali e 30mila euro per le spese processuali sostenute.
Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/extraordinary-renditions-grazia-per-altri-due-agenti-della-cia-condannati-nel-caso-abu-omar.html
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