L’inversione dell’onere della prova sull’origine legittima di presunti proventi o altri beni confiscabili non è applicata in modo efficace negli Stati parti alla Convenzione n. 198 del Consiglio d’Europa del 16 maggio 2005, in vigore sul piano internazionale dal 1° maggio 2008 (che ha aggiornato quella dell’8 ottobre 1990) sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo, nota come Convenzione di Varsavia. E’ quanto ha scritto il Comitato della Convenzione (C198-COP(2021)2prov2confisca), nel rapporto sull’applicazione tematica orizzontale, presentato il 30 giugno nel corso della Conferenza degli Stati parti, dedicato all’articolo 3, par. 4 del Trattato.
La norma indicata prevede che ogni stato Parte adotti le misure legislative o di altro tipo necessarie per esigere che, nel caso di una o più infrazioni gravi, come definite nel diritto interno, il presunto autore dell’illecito dimostri l’origine dei suoi beni che potrebbero essere i proventi del reato. Malgrado la presenza della norma, come risulta sulla base dei questionari raccolti dal Comitato, diversi Stati non hanno introdotto una regola ad hoc o hanno dichiarato di non volerla applicare. L’Italia, ad esempio, che ha ratificato la Convenzione il 21 febbraio 2017, ha posto una riserva con la quale dichiara di non applicare l’articolo 3, par. 4. Tuttavia, nelle risposte presentate le autorità nazionali hanno dichiarato che in Italia esistono già, nella legislazione antimafia, specifiche forme di inversione dell’onere della prova con le misure di prevenzione patrimoniali. Il Comitato ha così chiesto alle autorità italiane di ritirare la riserva posta.
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