Interviene la Cassazione sulla contestazione della transnazionalità del reato di corruzione

L’internazionalità di una condotta che costituisce reato, affinché possa rientrare tra le aggravanti della transnazionalità stabilita dall’articolo 4 della legge n. 146/2006, richiede che il reato sia commesso con la partecipazione di un gruppo criminale organizzato. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sesta sezione penale, con sentenza del 19 novembre 2015 (45935) con la quale è stata annullata parzialmente l’ordinanza del tribunale del riesame di Bologna che aveva stabilito la custodia cautelare in carcere di un un uomo accusato di reati contro la pubblica amministrazione. Per la Suprema Corte, l’aggravante disposta dall’articolo 4 della legge n. 146/2006 relativa appunto all’internazionalità della condotta prevede un aumento di pena solo nel caso in cui al reato abbia contribuito in tutto o in parte un gruppo criminale organizzato impegnato in attività illecite in più di uno Stato, in presenza delle circostanze indicate anche nella Convenzione di Palermo contro il crimine organizzato del 15 novembre 2000. Un’ipotesi diversa dal semplice concorso. Di conseguenza, precisa la Cassazione, per procedere alla condanna è necessario un accertamento non limitato al mero contributo del gruppo criminale. Tra l’altro, ad avviso della Suprema Corte, il Tribunale di Bologna non aveva proceduto ad accertare il contenuto della legge straniera, come richiesto – secondo la Suprema Corte – dall’articolo 14 della legge n. 218/1995 che costituisce un principio generale dell’ordinamento italiano per verificare la natura delle attività oggetto della presunta corruzione. Di qui l’annullamento parziale dell’ordinanza.

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