La Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza depositata ieri (causa C-310/14, C-310:14) è intervenuta a chiarire la portata dell’articolo 13 del regolamento n. 1346/2000 relativo alle procedure d’insolvenza transfrontaliere. Un’azienda, con sede ad Helsinki, che vendeva prodotti Nike grazie a un contratto di franchising regolato dal diritto olandese, aveva versato alcune somme per debiti esigibili dovuti all’acquisto di scorte di magazzino. Tuttavia, era stata aperta una procedura di insolvenza in Finlandia e l’azienda aveva chiesto l’annullamento dei pagamenti al fine di reintegrare la massa fallimentare. La Nike si era opposta sostenendo che i pagamenti contestati erano disciplinati dalla legge olandese. Il Tribunale aveva respinto quest’eccezione e, a seguito dell’impugnazione della Nike, la Corte di appello, prima di risolvere la questione, ha chiamato in aiuto gli eurogiudici. Per la Corte, in linea generale, in base all’articolo 4 del regolamento n. 1346 la legge applicabile alla procedura di insolvenza e ai suoi effetti è la legge dello Stato membro sul cui territorio è stata aperta la procedura (“lex fori concursus”). Tuttavia, l’articolo 13 ammette una deroga volta a tutelare il legittimo affidamento di chi ha beneficiato di un atto pregiudizievole alla massa dei creditori “prevedendo che tale atto rimarrà disciplinato, anche dopo l’apertura di una procedura di insolvenza, dal diritto che era ad esso applicabile alla data in cui tale atto è stato realizzato, ossia la lex causae”. Sulla base di questi presupposti e sulla necessità di contemperare i diversi interessi e diritti delle parti, la Corte chiarisce i limiti di applicazione dell’articolo 13 che, d’altra parte, è un’eccezione alla regola generale da interpretare in modo restrittivo. Pertanto, per Lussemburgo, l’articolo 13 “deve essere interpretato nel senso che la sua applicazione è assoggettata alla condizione che l’atto interessato non possa essere impugnato sul fondamento della lex causae, tenuto conto di tutte le circostanze della fattispecie”. Spetta poi al resistente in un’azione di nullità, annullamento o inopponibilità di un atto – osserva la Corte – “produrre la prova che tale atto, in base alla lex causae, non può essere impugnato”. La valutazione va fatta considerando l’intero ordinamento e, in particolare, le regole processuali nazionali, tenendo conto che in mancanza, nel diritto dell’Unione, di un’armonizzazione di tali regole, “spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilirle, in forza del principio di autonomia processuale, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività)”.
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