Ingiustificato il rifiuto della Grecia di riconoscere un’adozione avvenuta negli Usa

Una misura sproporzionata e non giustificata da un bisogno sociale imperativo. La scelta dei tribunali greci di bloccare il riconoscimento di un provvedimento di adozione emesso dalle autorità statunitensi da parte di un prete ortodosso, cittadino greco, nei confronti di suo nipote è contraria alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E’ questa la conclusione della Corte di Strasburgo che, con sentenza depositata il 3 maggio 2011 (ricorso Negrepontis-Giannis contro Grecia, http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?action=html&documentId=884846&portal=hbkm&source=externalbydocnumber&table=F69A27FD8FB86142BF01C1166DEA398649) è tornata sull’incidenza delle norme convenzionali sul funzionamento delle disposizioni interne che impediscono, in ragione di motivi di ordine pubblico, il riconoscimento di provvedimenti stranieri. Alla Corte si era rivolta un cittadino greco che viveva negli Stati Uniti con suo zio, prete ortodosso, il quale lo aveva adottato. Tornato in Grecia, alla morte dello zio, il ricorrente si era trovato alle prese con una controversia con altri familiari che rivendicavano la piena titolarità nella successione. I giudici greci avevano escluso il riconoscimento del provvedimento statunitense sul presupposto dell’esistenza di motivi di ordine pubblico perché in Grecia alcuni atti, come l’adozione, erano proibiti ai preti. Una tesi non condivisa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo secondo la quale il rifiuto del riconoscimento del provvedimento straniero era un’ingerenza ingiustificata, contraria al diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8 della Convenzione). Di qui la condanna alla Grecia. La Corte si è poi riservata di decidere sulle questioni relative all’indennizzo da corrispondere al ricorrente.

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