Non passa per Strasburgo la possibilità di far valere il diritto alla tutela del patrimonio culturale. Manca ancora il consenso a livello europeo sull’esistenza di un diritto individuale universale alla protezione del patrimonio culturale e, di conseguenza, un individuo non può rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo se ritiene leso questo diritto da una decisione dello Stato che compromette un sito archeologico di interesse per la collettività. Con decisione depositata il 21 febbraio (ricorso 6080/06, AHUNBAY ET AUTRES c. TURQUIE), Strasburgo ha così dichiarato inammissibile il ricorso presentato da 5 cittadini turchi che contestavano la decisione delle autorità nazionali di costruire una diga e una centrale idroelettrica che avrebbe costituito una minaccia per il sito archeologico di Hasankeyf.
I ricorrenti sostengono che le autorità turche, dando il via libera ai lavori, hanno violato l’articolo 8 della Convenzione che assicura il diritto al rispetto della vita privata nonché l’articolo 2 del Protocollo n. 2 che garantisce il diritto all’istruzione. A loro avviso, il progetto di costruzione della diga, a ridosso del fiume Tigri, e la minaccia che costituiva per il patrimonio archeologico avrebbe violato il diritto all’istruzione dell’intera umanità, incluso quello delle generazioni future. Non solo. Per i ricorrenti il progetto avrebbe avuto conseguenze nefaste per l’ambiente.
Prima di tutto, nell’analizzare il ricorso, la Corte europea, precisato che le norme della Convenzione non possono essere interpretate o applicate al di fuori del contesto generale nel quale si inscrivono, parte dalla constatazione che le esigenze di conservazione del patrimonio culturale sono oggetto di considerazione da parte della collettività e che sul piano internazionale, con vari atti vincolanti e di soft law, si è sviluppato un quadro normativo volto a tutelare il diritto di accesso alla tutela dei siti archeologici e culturali. Detto questo, però, per Strasburgo tale protezione è collegata ai diritti delle minoranze a godere liberamente della propria cultura, così come al diritto dei popoli indigeni di conservare, controllare e proteggere il patrimonio culturale. Pertanto, in ragione di questi limiti, manca ancora un consenso europeo o una tendenza diffusa tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa che possa far desumere dalle disposizioni della Convenzione che esista un diritto individuale alla protezione del patrimonio culturale in quanto tale. Di qui l’irricevibilità del ricorso perché non rientrante ratione materiae nell’ambito di applicazione dell’articolo 35 della Convenzione.
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