L’immunità di Stati esteri dalla giurisdizione non è assoluta e per le controversie di lavoro presso le ambasciate di uno Stato estero le autorità giurisdizionali nazionali sono tenute a garantire l’accesso alla giustizia ai dipendenti non coinvolti in funzioni sovrane. Lo ha affermato la Corte suprema inglese con la sentenza depositata il 18 ottobre 2017 ([2017] UKSC 62 uksc-2015-0063-judgment) con la quale è stato respinto il ricorso del Segretario di Stato il quale si opponeva al giudizio della Corte di appello. Quest’ultima, ribaltando la sentenza dell’Employment Tribunal, aveva dato ragione a due cittadine marocchine che lavoravano come domestiche rispettivamente presso l’ambasciata libica e sudanese a Londra. I giudici di primo grado avevano ritenuto che l’azione per controversie di lavoro non potesse essere sollevata dinanzi ai tribunali inglesi in forza dell’immunità della quale erano titolari sia la Libia sia il Sudan in forza dello State Immunity Act del 1978. Di diverso avviso l’Employment Appeal tribunal secondo il quale si era anche configurata una violazione dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (le donne in giudizio avevano richiamato diverse direttive Ue). Successivamente la Corte di appello aveva confermato questa conclusione e ritenuto che l’Immunity Act era incompatibile, con riguardo al diritto di accesso alla giustizia, con l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Una visione condivisa dalla Corte suprema che ha delineato il corretto ambito di operatività della regola di diritto internazionale sull’immunità degli Stati in materia di controversie di lavoro. Per la Suprema Corte è da respingere la posizione del Segretario di Stato secondo il quale, malgrado alcuni Stati riconoscano l’esistenza di una immunità ristretta, sussisterebbe ancora un’immunità pressoché assoluta. Questa tesi – osservano i giudici inglesi – non corrisponde al diritto internazionale generale che ormai afferma l’immunità ristretta, limitata all’esercizio di poteri sovrani di uno Stato. La Corte suprema, poi, ritiene che l’Immunity Act, nella parte in cui fa riferimento alla nazionalità e alla residenza del ricorrente per consentire l’accesso ai tribunali interni non rispecchia il diritto consuetudinario. Sul punto, per accertare se in materia di controversie di lavoro sia possibile invocare l’immunità, la Corte richiede che sia verificata la natura del rapporto tra Stato e lavoratore, tenendo conto delle funzioni svolte. Nessun dubbio che l’attività del personale domestico non ha alcun collegamento con lo svolgimento di attività sovrane, come confermato dalla giurisprudenza statunitense, francese e dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo. Così, la Corte conclude che né la Libia, né il Sudan hanno diritto all’immunità con riguardo ai ricorsi in esame.
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