Il no alla revisione delle pene accessorie contrario alla CEDU

La Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza del 12 gennaio 2016 nel caso Gouarré Patte contro Andorra, torna sull’articolo 7 della Convenzione europea che afferma il principio nulla poena sine lege (AFFAIRE GOUARR? PATTE c. ANDORRE). Per la Corte, la norma in esame assicura non solo l’irretroattività della legge penale più severa ma anche la retroattività della legge più favorevole, ormai da ritenersi come principio fondamentale del diritto penale. Nel caso all’attenzione di Strasburgo, un medico era stato condannato a 5 anni di carcere per abusi sessuali e alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dall’esercizio della professione medica. Malgrado alcune modifiche legislative volte a ridurre la pena grazie alle quali l’uomo aveva ottenuto una riduzione della sanzione principale, il medico non aveva potuto usufruire di una riduzione della pena accessoria. Questo malgrado una modifica legislativa del 2005 avesse chiarito che la pena accessoria non poteva superare quella prevista nel caso in cui la misura fosse stata adottata come pena principale. Tuttavia, i tribunali interni avevano respinto la revisione della pena accessoria perché la modifica legislativa non comprendeva l’interdizione dall’esercizio della professione. Strasburgo, chiarito che l’articolo 7 riconosce implicitamente l’obbligo di applicazione retroattiva della lex mitior, ha stabilito che l’interdizione perpetua dall’esercizio della professione va senza dubbio qualificata come pena. Ora, se fosse stata applicata come pena principale, l’interdizione, in base al nuovo codice penale, non avrebbe potuto superare i 20 anni. Di conseguenza, questa disposizione più favorevole andava applicata anche al ricorrente tanto più che il principio della retroattività della legge penale più favorevole era stato espressamente enunciato tra le modifiche al codice penale e che l’articolo 7 della Convenzione europea va in questa direzione. Di qui la condanna di Andorra tenuta a corrispondere un indennizzo per danni morali pari a 12mila euro.

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