Il Comitato dei diritti dell’uomo interviene per la prima volta sul divieto di utilizzo del niqab e sulle conseguenze sul diritto di manifestare il proprio credo religioso. Con due constatazioni analoghe del 22 ottobre (CCPR/C/123/D/2747/2016 CCPR_C_123_D_2747_2016_27806_F e CCPR/C/123/D/2807/2016 CCPR_C_123_D_2807_2016_27805_F), il Comitato ha stabilito che la sanzione comminata dalla Francia a due donne che utilizzavano il niqab è contraria al Patto sui diritti civili e politici. Sono state due donne francesi, in due distinte comunicazioni, a rivolgersi, nel 2016, al Comitato. Processate e sanzionate con una multa per aver indossato un velo che copriva il volto, in contrasto con la legge 2010-1192, le donne sostenevano di essere state vittime di una violazione degli articoli 18 (diritto alla libertà di religione e di manifestazione del proprio credo) e 26 (non discriminazione) del Patto. Una posizione condivisa dal Comitato che ha giudicato la legislazione francese sproporzionata perché incide in modo evidente sul diritto alla libertà di manifestare il proprio credo religioso. Prima di analizzare il merito, il Comitato ha esaminato talune questioni di ricevibilità alla luce delle eccezioni presentate dal Governo francese basate sul mancato previo esaurimento dei ricorsi interni e sulla presentazione di un ricorso analogo alla Corte europea dei diritti dell’uomo che si era già pronunciata nel senso dell’irricevibilità dei ricorsi. Sul punto, va ricordato che la Francia ha posto una riserva che esclude la competenza del Comitato nel caso di ricorsi già esaminati da altre istanze internazionali. Tuttavia, poiché il ricorso alla Corte europea era stato respinto dal giudice unico con una sintetica lettera dalla quale non emerge un chiarimento circa i motivi della decisione di irricevibilità, non si può ritenere che l’affare presentato dalla ricorrente sia stato già oggetto di un esame, seppure limitato, nel merito.
Il Comitato, chiarita la ricevibilità del ricorso, è passato ad analizzare il merito. E’ vero – osserva il Comitato – che lo Stato ha diritto ad adottare misure per la salvaguardia dell’ordine pubblico, ma il divieto assoluto, in ogni circostanza, ha una portata troppo ampia e non è proporzionale rispetto all’obiettivo perseguito. Lo Stato, infatti, non ha dimostrato come il divieto stabilito in sede penale, con una restrizione significativa della libertà di credo, sia proporzionato rispetto al fine, pur legittimo, perseguito. A ciò si aggiunga che lo Stato non ha dimostrato di aver testato l’idoneità di misure meno restrittive.
Per quanto riguarda la violazione dell’articolo 26 in rapporto alla circostanza che la legge costituisce una discriminazione indiretta nei confronti delle donne musulmane che indossano il velo integrale e che costituiscono una minoranza, il Comitato ha valutato l’eccezione sollevata dalla Francia secondo la quale l’indicata legge aveva solo un fine di tutela dell’ordine pubblico, ma ha raggiunto una diversa conclusione. Ed invero, lo Stato in causa, nei documenti che hanno portato all’adozione della legge, ha richiamato più volte i valori della Repubblica e la necessità di fronteggiare pratiche radicali che ledono la dignità e l’uguaglianza tra uomini e donne. Alla luce di diversi elementi, il Comitato ha così accertato anche una violazione dell’articolo 26.
La Francia ha 180 giorni per adempiere a quanto richiesto dal Comitato, incluso l’indennizzo alle due donne. Il Comitato, inoltre, ha chiesto alla Francia di riesaminare la legge in discussione alla luce degli obblighi derivanti dal Patto.
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