Se i giudici nazionali non applicano gli standard fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a tutela della libertà di stampa è certa la violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea che assicura la libertà di espressione. In particolare, ha chiarito la Corte di Strasburgo nella sentenza di condanna alla Russia depositata il 25 aprile (CASE OF OOO IZDATELSKIY TSENTR KVARTIRNYY RYAD v. RUSSIA), i giudici nazionali devono verificare se l’articolo ritenuto diffamatorio raggiunge un certo livello di gravità, se procura un effettivo pregiudizio al godimento del diritto alla vita privata e personale e se l’articolo in discussione è di interesse generale. Senza dimenticare che certo non si può chiedere al giornalista o all’editore di fornire la prova di un giudizio di valore e che chi riveste un ruolo pubblico, anche quando agisce nella sua attività privata, è sottoposto a uno scrutinio di più ampia portata rispetto al privato cittadino. A rivolgersi alla Corte europea è stata una società editoriale con sede a Mosca che pubblicava un quotidiano sul mercato immobiliare nella zona di Mosca. In un articolo un giornalista aveva criticato l’amministrazione di un’associazione di comproprietari, contestando al presidente dell’associazione il contemporaneo svolgimento di un’attività pubblica nella circoscrizione municipale. Di qui l’azione civile per diffamazione, con i tribunali nazionali che avevano dato torto all’editore imponendogli di versare un risarcimento di 270 euro. L’editore ha così fatto ricorso a Strasburgo che ha ritenuto che la Russia avesse violato la Convenzione perché i giudici nazionali hanno trascurato del tutto i criteri di Strasburgo e dato peso unicamente alla reputazione del protagonista dell’articolo, senza considerare l’interesse pubblico della notizia e che il giornalista aveva agito in buona fede e nel rispetto delle regole deontologiche. Per di più, è evidente che la decisione nazionale è contraria alla Convenzione perché è stata affermata la responsabilità dell’editore senza valutare che un personaggio pubblico deve essere sottoposto a critiche più dure rispetto a un privato. A ciò si aggiunga – osserva la Corte – che i giudici nazionali hanno chiesto al giornalista di provare la verità di quanto scritto rispetto a quello che era un giudizio di valore, in modo del tutto contrario alla Convenzione europea.
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