I giudici inglesi sul rapporto tra immunità dell’agente diplomatico e immunità dello Stato

L’immunità attribuita a un agente diplomatico non è conferita allo Stato che, quindi, può essere chiamato in giudizio dinanzi a giudici di altri Stati per le controversie di lavoro. Lo ha stabilito l’Employment Appeal Tribunal con sentenza del 12 dicembre 2023 con la quale è stata respinta la richiesta della Spagna circa il riconoscimento dell’immunità dinanzi ai giudici inglesi. La vicenda aveva al centro una donna con doppia cittadinanza, inglese e spagnola, impiegata presso l’ambasciata spagnola a Londra (EA-2021-000659-NLD, immunità lavoro). La donna riteneva di avere subito una discriminazione razziale e aveva citato in giudizio lo Stato il quale aveva opposto l’immunità invocando lo State Immunity Act del 1978. In base all’articolo 4 di tale atto, è esclusa la possibilità di citare in giudizio uno Stato estero dinanzi ai giudici del lavoro se l’attore è cittadino dello Stato estero convenuto. Tuttavia, i giudici di primo grado avevano ritenuto che detta norma fosse disapplicabile in quanto contraria al diritto Ue che risultava operativo all’epoca dei fatti.  La Corte di appello richiama i cambiamenti apportati allo State Immunity Act  a seguito della sentenza Benkharbouche e l’adozione dell’Order del 2023 il quale ha chiarito che l’immunità del diplomatico non si estende allo Stato e che detta immunità si applica solo se lo Stato estero è parte alla Convenzione europea sull’immunità degli Stati esteri. Inoltre, l’immunità non dovrebbe applicarsi se il personale assunto è cittadino dello stato del foro e risieda in modo permanente in quello Stato. Nel caso di specie è vero che la donna aveva anche la cittadinanza spagnola, ma dalla ricostruzione della Corte si desume che il legame era tenue, dovuto più che altro al fatto che era bilingue. Pertanto, andava applicata la regola sull’immunità relativa e, quindi, se l’atto commesso non rientra tra quelli iure imperii lo Stato estero non gode dell’immunità dalla giurisdizione civile, anche se si tratta di controversie di lavoro che coinvolgono un attore, dipendente dello Stato, che ha la nazionalità di questo stesso Stato. Il Tribunale di appello ha così confermato la disapplicazione della norma interna che dispone l’immunità invocando l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo a vantaggio del lavoratore che ha diritto a un risarcimento. Per la Corte di appello è impossibile estendere l’immunità di cui all’articolo 31 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, attribuita ai diplomatici anche agli Stati tanto più che lo stesso articolo 1 della Convenzione definisce in modo restrittivo il termine di agente diplomatico.  Esaminate le questioni giuridiche sollevate dalla Spagna, la Corte ha negato l’immunità e confermato la giurisdizione dei giudici inglesi, precisando che l’articolo 4 dello State Immunity Act non era connesso ad alcuna norma consuetudinaria di diritto internazionale.

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