Il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva deve essere assicurato anche garantendo un supporto legale a spese dello Stato. Questo soprattutto nelle ipotesi in cui sia obbligatoria la presenza di un avvocato. Lo dice la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha condannato nuovamente l’Italia, con sentenza del 25 giugno, per violazione dell’articolo 6 della Convenzione che tutela il diritto all’equo processo (CASE OF ANGHEL v. ITALY). Questa volta nelle aule di Strasburgo non la durata eccessiva dei processi ma i ritardi nella designazione dell’avvocato a cui aveva diritto il ricorrente e gli errori procedurali da parte dei legali scelti tra quelli indicati dal Consiglio dell’Ordine competente per territorio per il patrocinio a spese dello Stato. Questi i fatti. Un cittadino rumeno si era rivolto al Tribunale per i minorenni di Bologna quando la moglie, con il figlio piccolo, era arrivata in Italia per lavoro e non aveva più fatto rientro in Romania, salvo per una breve visita. Il Tribunale per i minorenni, tenendo conto della circostanza che il bambino viveva da molti anni in Italia, aveva respinto l’istanza volta ad assicurare il rientro del minore in base alla Convenzione dell’Aja sulla sottrazione internazionale. L’uomo aveva deciso di presentare ricorso in Cassazione, ma il ritardo nella designazione dell’avvocato gli aveva precluso l’azione. Di qui la scelta di rivolgersi a Strasburgo.
Prima di tutto, la Corte europea ha chiarito che è del tutto compatibile con la Convenzione prevedere, sul piano interno, l’obbligo dell’assistenza di un avvocato dinanzi alle giurisdizioni superiori. Detto questo, però, le autorità nazionali devono agire con la dovuta diligenza per garantire il pieno godimento del diritto quando un individuo non ha i mezzi sufficienti. Questo perché il diritto alla tutela giurisdizionale deve essere assicurato in modo “reale ed effettivo”. Nel caso che è costato una nuova condanna all’Italia da un lato vi è stato un ritardo nell’intervento delle autorità nazionali competenti e, dall’altro lato, una mancanza di informazioni al ricorrente. In primo luogo, le autorità italiane hanno impiegato più di due settimane per comunicare ai colleghi rumeni la decisione del Tribunale per i minorenni del 2007. Un’altra settimana per rispondere alla richiesta di chiarimenti sulla procedura di appello. La domanda di assistenza giudiziaria gratuita spedita all’Italia il 13 settembre 2007 è stata poi registrata solo dopo 6 settimane. La decisione sulla concessione è stata presa in tempi rapidi ma trasmessa al ricorrente due mesi dopo. Ma non è finita qui, perché – scrive la Corte – il Consiglio dell’Ordine degli avvocati ci ha messo più di un mese per trasmettere l’elenco dei legali qualificati per il ricorso. Per di più, individuato l’avvocato, quest’ultimo dopo due mesi, aveva comunicato di non avere le competenze necessarie per presentare il ricorso in Cassazione. Per non parlare delle informazioni sbagliate arrivate al ricorrente dallo stesso avvocato sui tempi per il ricorso.
Un quadro che ha portato la Corte europea a ritenere violata la Convenzione soprattutto a causa delle informazioni ripetutamente sbagliate delle autorità statali e dell’avvocato tenuto certo a conoscere le regole procedurali per i ricorsi. Errori manifesti che hanno compromesso in modo definitivo la possibilità di presentare appello. Questo vuol dire che il diritto alla difesa, pur previsto dalla legge, non è stato effettivo e, di conseguenza, è stato compromesso il diritto alla tutela giursdizionale, con l’obbligo per l’Italia di versare 14.000 euro per danni non patrimoniali subiti dal ricorrente e 3.000 per le spese processuali sostenute. La Corte europea ha invece respinto il ricorso per la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare ritenendo che il Tribunale per i minorenni di Bologna aveva deciso di non far rientrare il minore tenendo conto del suo interesse.
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