Giurisdizione italiana e traffico di armi in Libia: la Cassazione precisa la portata della Convenzione di Palermo

La Corte di Cassazione, prima sezione penale, con la sentenza n. 19762, depositata il 1° luglio 2020, è intervenuta a chiarire in quali casi sussiste la giurisdizione del giudice italiano per un reato commesso integralmente all’estero da cittadino straniero (19762). Questi i fatti. Una motonave battente bandiera libanese, partita da Beirut, con sosta in Turchia dove aveva imbarcato armi di vario genere, scortata da due navi da guerra turche, aveva fatto sosta in Libia, simulando un’avaria. Ripartita senza carico, successivamente, aveva fatto scalo nel porto di Genova. Qui un componente dell’equipaggio aveva segnalato le operazioni sospette decise dal comandante che potevano costituire anche una violazione dell’embargo di forniture belliche deciso dalle Nazioni Unite e dall’Unione europea nei confronti della Libia. Il giudice per le indagini preliminari di Genova aveva emesso la misura cautelare della detenzione in carcere, confermata dal Tribunale di Genova che ha condiviso la conclusione circa la sussistenza della giurisdizione italiana. Ed invero, secondo il Gip, anche nel caso in cui non fosse applicabile l’art. 6, comma 2 del codice penale, per il transito nelle acque territoriali italiane durante il viaggio dalla Turchia alla Libia, sussisterebbe la giurisdizione italiana, malgrado la condotta realizzata in territorio estero, ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, ratificata dall’Italia con legge n. 146 del 16 marzo 2006. Questo perché, in base all’art. 15, par. 4 della Convenzione sussiste la giurisdizione dello Stato anche per il reato commesso integralmente all’estero “quando il presunto autore si trova sul suo territorio ed esso non lo estrada”. Inoltre, la giurisdizione andrebbe affermata in ragione della natura di delitto politico commesso dallo straniero all’estero (art. 8 c.p.) per la consegna delle armi a una fazione in lotta in Libia. Di qui il ricorso in Cassazione, con contestazione, da parte del comandante della nave colpito dalla misura cautelare, dell’esistenza della giurisdizione italiana.

Sul punto, la Suprema Corte ha sottolineato che presupposto dell’esercizio della giurisdizione è l’esistenza “- in termini di certezza – del potere dell’autorità giudiziaria di prendere cognizione del fatto”. In questo caso è evidente, e costituisce un fatto storico, che il transito in acque territoriali italiane non ha un elemento di sostegno e, quindi, si può ritenere che il reato sia stato perpetrato interamente all’estero. Esclusa la giurisdizione in base all’art. 6, comma 2, c.p., la Cassazione ha ritenuto che l’art. 15, par. 4 della Convenzione di Palermo non possa trovare applicazione. Questo perché il rinvio a convenzioni internazionali effettuato dall’art. 7, comma 1, n. 5 c.p. è esclusivamente un rinvio generale a convenzioni internazionali non in grado di costituire una deroga al principio di sovranità territoriale. La norma, infatti, “attesta semplicemente la possibilità…dell’esistenza di casi aggiuntivi, previsti con legge o con convenzione vincolante, attributivi di giurisdizione per fatti commessi all’estero”. Inoltre, con la sentenza n. 48250 del 12 dicembre 2019, la quinta sezione penale ha precisato che non sussiste la giurisdizione del giudice italiano per reati commessi dallo straniero in danno di altro straniero consumati interamente in uno Stato estero “seppure connessi con reati commessi in Italia” (si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/la-corte-di-cassazione-si-pronuncia-su-immigrazione-irregolare-reati-commessi-in-libia-e-giurisdizione-italiana-italian-supreme-court-on-irregular-migration-crimes-committed-in-libya-and-italian-j.html). Non solo. La Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati precisa che l’interpretazione di un testo pattizio debba avvenire in buona fede secondo il senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e considerando l’oggetto e lo scopo della convenzione. Per la Suprema Corte, l’ordine di esecuzione porta alla ricezione nell’ordinamento interno delle disposizioni che “realizzano condizioni autoapplicative, configurano obblighi e non necessitano di altro adempimento intermedio”, situazione che non si verifica con riguardo all’art. 15, par. 4 della Convenzione di Palermo. La deroga al principio di territorialità della giurisdizione dello Stato parte è unicamente una facoltà che ogni Stato può prevedere e poiché l’Italia non ha adottato una regola ad hoc, l’indicata disposizione non può essere il fondamento per l’esercizio della giurisdizione. Tuttavia, per la Corte, la giurisdizione italiana sussiste in base all’art. 10 del codice penale.

Nessun commento

Aggiungi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *