Giudicato: la Corte di giustizia chiarisce il rapporto con il diritto Ue

La Corte di giustizia dell’Unione europea, con una sentenza depositata il 10 luglio (C-213/13, Pizzarotti, C-213:13), è intervenuta nell’annosa questione relativa all’incidenza del diritto dell’Unione europea sul giudicato interno. E lo ha fatto precisando che il giudicato interno è intangibile anche se la sentenza è contraria al diritto dell’Unione europea, a meno che il diritto nazionale non permetta di completare la sentenza definitiva (attraverso la cosiddetta formazione progressiva del giudicato) o ritornare sulla decisione. Questo perché il diritto Ue, nel rispetto dell’autonomia degli Stati e in assenza di una normativa europea in materia, non impone al giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne sul valore del giudicato.

La complessa questione è arrivata a Lussemburgo su  rinvio pregiudiziale d’interpretazione dal Consiglio di Stato alle prese con una controversia tra un’impresa e il Comune di Bari per la costruzione della cittadella della giustizia. Il Comune aveva pubblicato un bando di ricerca di mercato per realizzare l’opera: era stata selezionata un’impresa, ma il Ministero della giustizia aveva soppresso il finanziamento. L’azienda aveva chiesto di realizzare solo le opere destinate alla locazione: il Consiglio di Stato aveva accolto la richiesta ordinando al Comune di darne attuazione. Tuttavia, il Commissario ad acta aveva deciso una variante urbanistica, impugnata dall’impresa. Il Consiglio di Stato, in quest’occasione, ha chiamato in aiuto gli eurogiudici. Prima di tutto la Corte ha chiarito che la qualificazione di un’opera come appalto pubblico non è demandata agli Stati e rientra nel diritto Ue. Pertanto, poiché il contratto tra comune e impresa riguardava la realizzazione di un’opera, seppure affiancata da un impegno a locare, si era in presenza di un’aggiudicazione di appalti. Con la conseguenza che doveva essere applicata la direttiva 93/37. Ciò che conta per la qualificazione di un’attività, infatti, è l’oggetto principale del contratto e non l’importo e le modalità di pagamento. Evidente che nel caso in esame si trattava di un appalto pubblico di lavori anche se vi era un impegno a locare l’opera. Detto questo, la Corte è passata al tema più caldo ossia il rapporto tra diritto Ue come interpretato da Lussemburgo e giudicato interno. E lo ha fatto chiarendo che il valore di giudicato rientra nella sfera di competenza degli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Grazie al principio dell’autonomia procedurale, gli Stati possono, così, considerarlo intangibile per assicurare stabilità e buona amministrazione della giustizia. Pertanto, – chiarisce la Corte – il diritto dell’Unione non impone “a un giudice nazionale di disapplicare le norme procedurali interne che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale”, neanche se ciò consentirebbe di risolvere un contrasto con il diritto Ue. In particolare, osserva Lussemburgo, “Il diritto dell’Unione non esige, dunque, che, per tener conto dell’interpretazione di una disposizione pertinente di tale diritto offerta dalla Corte posteriormente alla decisione di un organo giurisdizionale avente autorità di cosa giudicata, quest’ultimo ritorni necessariamente su tale decisione”. Per evitare ogni fraintendimento rispetto alla sentenza Lucchini (C-119/05), la Corte di giustizia ha anche precisato  che quanto affermato in quella pronuncia riguardava “una situazione del tutto particolare, in cui erano in questione principi che disciplinano la ripartizione delle competenze tra gli Stati membri e l’Unione europea in materia di aiuti di Stato, che la Corte ha statuito, in sostanza, che il diritto dell’Unione osta all’applicazione di una disposizione nazionale, come l’articolo 2909 del codice civile italiano, che mira a consacrare il principio dell’intangibilità del giudicato, nei limiti in cui la sua applicazione impedirebbe il recupero di un aiuto di Stato concesso in violazione del diritto dell’Unione e dichiarato incompatibile con il mercato comune da una decisione della Commissione europea divenuta definitiva”.

Chiarito il principio dell’intangibilità del giudicato, la Corte ha sottolineato che se il diritto interno ammette che il giudice nazionale possa tornare sulla decisione o completare la cosa giudicata ciò deve essere consentito anche nei casi di contrasto con la normativa europea nel rispetto del principio di equivalenza e di effettività. Tanto più che, precisa Lussemburgo, aprendo la strada a una modifica della sentenza definitiva, la questione in esame riguardava norme essenziali del diritto dell’Unione in materia di appalti.

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