La Corte suprema inglese, con sentenza del 25 giugno 2014 (UKSC_2013_0235_Judgment) ha respinto il ricorso volto a far dichiarare l’illegittimità del divieto assoluto di ricorso al suicidio assistito previsto nel diritto inglese e l’incompatibilità di detto divieto con l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare. La Corte ha riunito due procedimenti uno dei quali avviato dalla vedova di un uomo che a seguito di un ictus era rimasto del tutto paralizzato. L’uomo aveva chiesto di avvalersi del suicidio assistito ma la sua istanza era stata respinta in quanto in base al diritto interno colui che aiuta nel suicidio è punito con la detenzione. L’uomo aveva allora rifiutato ogni forma di nutrizione ed era poi morto a causa di una polmonite. Un ricorso simile era stato depositato da un uomo che aveva fatto analoga richiesta. La Corte suprema ha respinto entrambi i ricorsi fondati anche su un contrasto con la Convenzione europea, chiedendo al legislatore di intervenire. I giudici inglesi hanno però ritenuto di poter verificare se la legge sul divieto assoluto di suicidio assistito sia incompatibile con la Convenzione europea anche se si tratta di una questione nella quale la Corte europea ha dichiarato che sussiste un ampio margine di apprezzamento degli Stati. E’ vero che in questi casi la competenza è del Parlamento ma i giudici nazionali hanno la responsabilità di verificare se una legge è incompatibile con i diritti umani. E questa valutazione può essere effettuata anche quanto una questione cade nel margine di apprezzamento degli Stati.
Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/temi-sensibili-e-corte-europea-dei-diritti-delluomo-in-uno-studio-di-strasburgo-un-esame-della-prassi.html.
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