Estradizione, pena di morte e custodia cautelare: chiarimenti dalla Cassazione

Se nel Paese che richiede l’estradizione è prevista la pena di morte o, in alternativa, l’ergastolo, le autorità italiane sono tenute, prima di decidere sul via libera alla consegna, a considerare non solo la misura del carcere a vita ma anche a valutare il rischio che venga applicata la pena capitale. Di conseguenza, la conclusione della Corte di appello di Bologna, nel consentire l’estradizione di un cittadino pachistano che era stato accusato di omicidio nel suo Paese e che era stato arrestato in Italia, non è stata corretta. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22945 deposita il 6 giugno (22945) con la quale la Suprema Corte ha annullato, senza rinvio, l’ordinanza della Corte di appello di Bologna. Precisato che anche l’attesa dell’esecuzione della pena capitale è un trattamento inumano e degradante ed è in contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Suprema Corte ha osservato che la misura detentiva disposta dalle autorità italiane nei confronti del cittadino pachistano non è stata corretta perché detta misura può essere prevista solo laddove “si abbiano elementi per ritenere che possa essere emessa sentenza favorevole all’estradizione”. Di conseguenza, la rilevanza della pena per il reato per il quale si procede, prevista nell’ordinamento dello Stato estero, incide sulla legittimità dell’arresto perché detta legittimità ai fini estradizionali è condizionata a una prognosi favorevole alla consegna. Se nel Paese richiedente è prevista per il reato commesso dall’estradando la pena capitale la misura detentiva non può essere disposta proprio perché l’estradizione è preclusa. Così, la Corte di cassazione ha affermato il principio di diritto in base al quale “non è legittimamente eseguito l’arresto da parte della polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 716, comma 1, cod. proc. penale, ai fini estradizionali per un reato per il quale l’ordinamento dello Stato estero prevede la pena di morte, né può essere applicata, ai sensi dell’art. 716, comma 3, cod. proc. pen., una misura cautelare coercitiva provvisoria per lo stesso reato”.

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