Estradizione e rischi per la salute: chiarimenti dalla Cassazione

La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 48323 depositata il 20 dicembre 2022, ha accolto il ricorso di un cittadino albanese che si era opposto all’estradizione, decisa dalla Corte di appello di Lecce in esecuzione di una richiesta delle autorità albanesi, per dare attuazione a una sentenza di condanna inflitta all’uomo per reati di falsificazione dei documenti (estradizione). In particolare, il ricorrente sosteneva che i giudici della Corte di appello avevano interpretato erroneamente gli articoli 698 e 705, comma 2 del codice di procedura penale poiché non avevano considerato che, in quanto affetto da HIV, l’uomo avrebbe subito un peggioramento del suo stato di salute. Una tesi condivisa dalla Cassazione secondo la quale, nei casi di estradizione all’estero, la Corte di appello non può considerare unicamente l’esistenza di presidi sanitari nel Paese che richiede l’estradizione, ma è tenuta a valutare la “concreta incidenza negativa che può avere la procedura esecutiva di consegna, per le complicanze patologiche connesse al trasferimento all’estero in sé, nonché in rapporto all’esigenza di non interrompere le terapie in atto”. La Corte di Cassazione, inoltre, precisa che è necessario verificare se vi sia il rischio di trattamenti inumani o degradanti, attraverso l’acquisizione di “informazioni individualizzate sul regime di detenzione che gli sarà riservato” e fermare l’estradizione se alcuni effetti negativi sullo stato di salute possono derivare dalle difficoltà connesse al trasferimento. Ora, poiché la Corte di appello aveva fatto una valutazione generale e non aveva accertato la presenza di farmaci anti-retrovirali moderni come quelli utilizzati in Italia, non si può considerare effettuata la valutazione individualizzata. Di qui l’annullamento della sentenza e il rinvio ad altra sezione della Corte di appello.