Non è un aiuto di Stato incompatibile con il diritto Ue l’esenzione fiscale sull’imposta su costruzioni concessa da uno Stato alla chiesa cattolica per le opere realizzate all’interno di un edificio scolastico. A patto, però, che la struttura sia utilizzata per fini educativi e sociali e non per motivi commerciali, anche quando le prestazioni di insegnamento non perseguono un obiettivo strettamente religioso. E’ l’Avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea, Kokott, a stabilirlo nelle conclusioni depositate il 17 febbraio nella causa C-74/16 (C-74:16). La controversia nazionale vedeva al centro un istituto della Chiesa cattolica e il comune di Getafe (Madrid). L’ente, dopo l’ampliamento di un edificio utilizzato dalla scuola come sala conferenze, aveva presentato domanda di rimborso delle imposte in base a una Convenzione del 1979 tra Spagna e Santa Sede. Il Comune aveva respinto la richiesta perché l’attività, a suo dire, non era collegata agli obiettivi religiosi della Chiesa cattolica. I giudici amministrativi spagnoli, prima di decidere a seguito dell’impugnazione del diniego all’esenzione, hanno chiamato in aiuto i giudici Ue per alcune questioni interpretative in materia di aiuti di Stato. Prima di tutto, l’Avvocato generale della Corte ha chiarito che anche se al centro dell’attività della chiesa vi sono compiti religiosi, pastorali e sociali non può essere escluso che singole attività possano essere considerate di carattere economico. Pertanto, per verificare l’applicazione dell’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che si occupa degli aiuti di Stato, è necessario analizzare le singole attività dell’ente. Se l’ente religioso – osserva Kokott – gestisce i propri istituti con un approccio commerciale “ed eroga le attività didattiche ivi tenute essenzialmente quale controprestazione per i contributi economici e le altre prestazioni pecuniariamente quantificabili degli scolari e dei loro genitori” vuol dire che l’ente eroga servizi e, quindi, svolge un’attività economica. Lo scenario cambia se l’ente religioso gestisce l’istituto scolastico non con modalità commerciali ma nell’ambito sociale, culturale ed educativo “non ricorrendo o ricorrendo solo marginalmente per il finanziamento delle lezioni ai contributi degli scolari o dei loro genitori”. In quest’ultima ipotesi, manca l’attività economica e, quindi, la normativa Ue sulla libera concorrenza non va applicata. Di conseguenza, l’esenzione fiscale non è un aiuto di Stato e può essere concessa all’ente ecclesiastico. E questo anche quando l’attività svolta negli edifici non persegua un obiettivo strettamente religioso, proprio perché è sufficiente che con i servizi didattici l’ente persegua realmente un obiettivo sociale, culturale ed educativo. Per l’Avvocato generale, spetta poi ai giudici nazionali verificare, per l’ente che svolge una pluralità di servizi didattici, quale attività è realizzata senza motivi commerciali nell’edificio per il quale è chiesta l’esenzione, tenendo conto del numero di classi e di ore di lezione, del numero di scolari e di insegnanti impegnati nelle diverse attività, nonché del budget medio annuale che la scuola destina alle diverse attività didattiche. Se l’attività imprenditoriale è marginale è giusto negare che si tratti di attività economica lasciando spazio alle esenzioni.
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