Record di casi chiusi nel 2016. Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa che si occupa, tra l’altro, della sorveglianza sull’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha pubblicato, il 5 aprile, il decimo rapporto annuale sul livello di attuazione delle sentenze CEDU da parte degli Stati “condannati” a Strasburgo (execution). Nel 2016 – scrive il Comitato – i casi archiviati sono stati 2.066 con un miglioramento rispetto ai 1.537 del 2015. Cala anche l’arretrato che arriva a 9.941 con una diminuzione rispetto ai 10.652 casi del 2015. E’ la prima volta, tra l’altro, che l’arretrato scende sotto la soglia di 10mila. Va detto, però, che l’Italia è lo Stato che pesa di più con 2.350 casi pendenti che vuol dire sentenze non ancora eseguite. Tra l’altro, non solo l’Italia fa peggio di tutti, ma è riuscita quasi a doppiare Paesi come la Turchia che è a quota 1.430 casi. Sulla situazione dei singoli Stati, quest’anno, il Dipartimento per l’esecuzione delle sentenze ha predisposto schede ad hoc. Qui la scheda relativa all’Italia (Italy).
Tornando alla relazione annuale, un trend positivo è l’incremento dei leading cases archiviati, che vuol dire piena esecuzione delle sentenze con riferimento a casi molto complessi, che riguardano problemi strutturali e sistemici. In quest’ambito, i casi chiusi sottoposti a vigilanza rafforzata sono stati 45 con un netto aumento rispetto ai 18 del 2015 e 237 i leading cases sottoposti a supervisione standard a fronte dei 135 del 2015. Diminuiscono anche i leading cases pendenti da 1.555 del 2015 ai 1.493 del 2016.
Passiamo alle zone d’ombra. Non solo l’incremento di nuovi casi che nel 2016 sono stati 1.352 contro i 1.285 del 2015. Ciò che allarma di più il Comitato dei Ministri è la diminuzione del pagamento degli indennizzi nei termini fissati, che nel 2016 è stato pari al 65% mentre nel 2015 era al 71%.
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