Esclusa la violazione della Convenzione per le misure di ricalcolo delle pensioni – Readjustment of old-age pensions did not breach Convention rights

Le misure di austerity che incidono sul calcolo delle pensioni, bloccando il meccanismo di perequazione al costo della vita, non sono contrarie all’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che assicura il diritto di proprietà. A patto che le misure siano imposte da un contesto di difficoltà economica dello Stato, siano funzionali a preservare il sistema di sicurezza sociale per le generazioni future e siano limitate dal punto di vista temporale, senza causare gravi difficoltà sulle condizioni di vita delle persone colpite dalle misure. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con una decisione del 10 luglio e comunicata il 19 luglio (ricorsi n. 27166/18 e 27167/18, decisione) con la quale Strasburgo ha dato ragione all’Italia e dichiarato i ricorsi irricevibili. A rivolgersi alla Corte europea ben 10.059 ricorrenti che contestavano il decreto Poletti n. 65/2015 che aveva bloccato la perequazione delle pensioni per il 2012 e il 2013. Il decreto faceva seguito al provvedimento “Salva Italia” (decreto n. 201/2011, convertito nella legge n. 214/2011) che aveva bloccato l’adeguamento automatico all’inflazione delle pensioni con un importo mensile 3 volte superiore al minimo Inps. La norma era stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta e il decreto Poletti era intervenuto modificandone il contenuto. Il nuovo testo aveva superato il vaglio della Consulta e, così, i ricorrenti hanno fatto ricorso alla Corte di Strasburgo che, però, non ha accolto il ricorso. Questo perché, secondo la Corte, il decreto non ha colpito l’entità delle pensioni ma ha introdotto un meccanismo di riduzione solo sull’adeguamento automatico al costo della vita. Inoltre, il provvedimento non ha coinvolto le fasce più deboli ma solo coloro che percepivano una pensione superiore a tre volte rispetto alla pensione minima, con una riduzione tra l’1,62% e il 2,7%. Gli effetti, quindi, non erano stati così severi da causare ai ricorrenti difficoltà nella vita quotidiana e non avevano provocato un onere eccessivo su di loro. Di conseguenza, per la Corte va escluso un impatto significativo. Senza dimenticare – aggiungono i giudici internazionali – che le autorità nazionali erano state costrette ad intervenire per le difficoltà economiche e per le richieste della Commissione europea che era pronta ad agire contro l’Italia per il deficit eccessivo. Sul punto, la Corte ha chiarito che le misure di utilità pubblica richiedono un esame di ordine politico, economico e sociale, ambiti nei quali lo Stato gode di un ampio margine di apprezzamento. 

Si veda, nello stesso senso, la decisione del 27 luglio (ricorso n. 75916/13, riguardante la Lituania).

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