Con la pronuncia del 9 novembre 2010 la Corte di giustizia (causa C-540/08, Mediaprint) ha precisato la nozione di pratiche commerciali sleali ai sensi della direttiva 2005/29/Ce (recepita in Italia con Dlgs 2 agosto 2007 n. 146). Il quesito pregiudiziale alla Corte di giustizia era stato presentato dalla Cassazione austriaca alle prese con un ricorso di un editore contro un giornale concorrente che aveva lanciato un concorso per l’elezione del calciatore dell’anno. All’interno del giornale era contenuto un tagliando di voto che poteva portare alla vincita di una cena con il calciatore eletto. Per l’editore concorrente, la possibilità di vincita subordinata all’acquisto del giornale era un premio illecito, conseguenza di una pratica commerciale sleale. Posizione non condivisa dalla Corte Ue.
Prima di tutto – hanno precisato i giudici di Lussemburgo – le pratiche che consistono nell’offrire ai consumatori dei premi associati all’acquisto di prodotti non sono incluse nell’allegato I della direttiva, che contiene un elenco delle pratiche vietate in ogni circostanza. Questo vuol dire che queste vendite possono essere vietate solo dopo un’analisi specifica «che ne consenta di stabilire il carattere sleale». Di conseguenza, le legislazioni nazionali più restrittive della direttiva, che vietano in modo automatico alcune vendite, sono in contrasto con il diritto Ue. Non basta poi accertare che la partecipazione a un concorso a premi è almeno per una parte del pubblico interessato «il motivo determinante dell’acquisto di un giornale», perché il giudice nazionale prima di classificare una pratica commerciale come sleale dovrà accertare che essa «sia contraria alle norme della diligenza professionale»
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