Due diligence: la Commissione prova a chiarire gli obblighi previsti dalla direttiva sulla diligenza e i rapporti con le direttive settoriali

La Commissione europea ha diffuso in un documento esplicativo attraverso delle FAQ (FAQ Due diligence) alcune indicazioni sul funzionamento della direttiva 2024/1760 sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità che modifica la 2019/1937 e il regolamento 2023/2859 (direttiva diligenza). La direttiva CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), che dovrebbe riguardare circa 6.000 aziende con sede nello spazio Ue e 900 imprese extra-Ue, dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 26 luglio 2026 ed è entrata in vigore il 25 luglio 2024. La direttiva – chiarisce la Commissione – stabilisce un quadro orizzontale generale (lex generalis) lasciando così piena operatività alle normative settoriali che perseguono gli stessi obiettivi, ma che prevedono obblighi più specifici (lex specialis) come, ad esempio, nel caso del regolamento 2023/1115  su merci e prodotti associati alla deforestazione e, per la comunicazione al pubblico, la direttiva 2022/2464 sulla rendicontazione della sostenibilità delle imprese (CSRD).

La direttiva due diligence stabilisce obblighi di diligenza nei confronti delle imprese di grandi dimensioni con specifiche caratteristiche di fatturato e numero di dipendenti, al fine di tutelare i diritti umani e l’ambiente e di attuare i piani di transizione climatica. In questa direzione, la direttiva fissa obblighi nell’intera catena dell’attività, imponendo il rispetto della due diligence nella supply chain e nella gestione del rischio.

Rispetto alla proposta della Commissione Ue, il testo finale è fortemente ridimensionato, ma in ogni caso la direttiva permette l’ingresso in un atto vincolante del contenuto di codici di condotta e atti di soft law indirizzati alla sostenibilità e alla tutela dei diritti umani e dei lavoratori e, in particolare, dei principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani. La direttiva è rivolta alle società costituite secondo la normativa di uno Stato membro (e anche di Stati terzi con fatturato generato nell’Unione) che abbiano, in media, più di mille dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale superiore a 450.000.000 euro nell’ultimo esercizio di adozione del bilancio d’esercizio. È stato possibile ampliare l’ambito di applicazione, seppure in modo più limitato rispetto agli obiettivi di partenza, anche alle società che non raggiungono i criteri previsti dall’articolo 2, lettera a, se si tratta di società capogruppo di un gruppo che ha raggiunto i limiti previsti o accordi di franchising o di licenza nell’Unione “in cambio di diritti di licenza con società terze indipendenti se gli accordi garantiscano un’identità comune”.

Il dovere di diligenza che comprende sei fasi: l’integrazione della due diligence nelle politiche e nei sistemi di gestione, l’individuazione e la valutazione degli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente, la prevenzione, l’arresto o la minimizzazione degli impatti negativi effettivi o potenziali, il monitoraggio e la valutazione delle misure, la comunicazione e la riparazione. Inoltre, è previsto un sistema per le azioni di risarcimento dei danni a vantaggio di persone fisiche e giuridiche, con l’obbligo per gli Stati di prevedere termini di prescrizione non inferiori ai 5 anni. Per quanto riguarda le sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, esse dovranno essere determinate sulla base della natura, della gravità e della durata della violazione e degli impatti causati.

Tra le sanzioni sono previste quelle pecuniarie da calcolare sulla base del fatturato netto mondiale della società, con un limite massimo che non può essere inferiore al 5% del fatturato netto mondiale delle società nell’esercizio precedente alla decisione che impone la sanzione pecuniaria. Le decisioni con le quali sono imposte le sanzioni devono essere pubblicate e visibili per almeno cinque anni e i provvedimenti vanno inviati alla rete europea delle autorità di controllo. Le situazioni di mancato rispetto della direttiva possono essere considerate nell’ambito dei criteri di aggiudicazione di appalti pubblici e contratti di concessione. Gli Stati membri, infatti, potranno stabilire che il rispetto degli obblighi derivanti dalla direttiva sia considerato un aspetto o elemento ambientale e/o sociale che le amministrazioni aggiudicatrici prendono in considerazione secondo le direttive Ue.

 

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