Con ordinanza n. 6920/2023, deposita l’8 marzo, la Corte di Cassazione, prima sezione civile, torna a pronunciarsi sul limite dell’ordine pubblico e la trascrizione in Italia di un “divorzio” pronunciato dalla Corte suprema di Teheran (6920). La nuova ordinanza chiude una vicenda che aveva già portato a un intervento della Cassazione (ordinanza n. 17170/17 depositata il 14 agosto 2020, Cassazione 17170) che aveva accolto il ricorso del marito, cassato la sentenza e rinviato alla Corte di appello di Bari, per una decisione in diversa composizione.
Questa la vicenda in sintesi. La Corte di appello di Bari aveva ordinato la cancellazione della trascrizione dai registri dello stato civile della sentenza di divorzio pronunciata dalla Corte suprema di Teheran tra una coppia, entrambi cittadini iraniani, residenti in Italia. Il marito si era rivolto alla Cassazione secondo la quale, nell’applicare l’articolo 64, comma 1, lett. g), della legge n. 218/95, i giudici di appello avrebbero dovuto valutare unicamente gli effetti della sentenza straniera nell’ordinamento italiano, senza procedere a una valutazione di compatibilità tra gli istituti stranieri e quelli nazionali. Sulla base di questa premessa, la Cassazione aveva osservato che la Corte di appello aveva commesso un errore nell’adottare la decisione sulla base del fatto che il divorzio pronunciato in Iran (divorzio del genere “rojee”) non si discostava dall’istituto del ripudio. In questo modo, ad avviso della Suprema Corte, i giudici di appello avevano effettuato un sindacato sul contenuto e non sugli effetti dell’atto. Di qui la richiesta di una nuova valutazione. La Corte di appello, quindi, a seguito del rinvio della Cassazione si è nuovamente pronunciata affermando la legittimità della trascrizione. A seguito della pronuncia, la donna ha presentato un nuovo ricorso alla Suprema Corte che lo ha respinto. Tra gli altri motivi, la ricorrente riteneva che, poiché il marito aveva anche la cittadinanza italiana, doveva essere data prevalenza a tale nazionalità in linea con l’articolo 19 della legge n. 218/95 e, quindi, escludere la possibilità di eseguire una sentenza nella quale era stata applicata una legge radicalmente incompatibile con l’ordine pubblico del foro. La Cassazione, richiamata la teoria dell’effetto attenuato dell’ordine pubblico e dell’ordine pubblico di prossimità, evidenzia che si trattava di una questione nuova, fino a quel momento mai sollevata e che, in ogni caso, il fatto che il marito fosse cittadino italiano “non assume rilievo decisivo, ai fini di escludere il riconoscimento degli effetti della sentenza iraniana di divorzio” perché era stato lo stesso uomo ad aver chiesto la trascrizione in Italia del divorzio pronunciato in Iran, con la conseguenza che “non si pone quindi una questione di tutela di detto soggetto, che presenta anche un collegamento stretto con l’Italia, rispetto all’istituto del ripudio”. La Cassazione, inoltre, sottolinea che non è stata dimostrata alcuna violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio con riguardo alla posizione della donna (che aveva avuto un difensore e non aveva dovuto restituire la dote), la quale, tra l’altro, non si era mai opposta alla competenza del giudice iraniano. Per quanto riguarda un’eventuale violazione dei principi fondamentali dell’individuo riconosciuti come valori universali, come la parità di genere e il principio di non discriminazione all’interno del matrimonio in rapporto all’istituto del ripudio islamico, la Corte di Cassazione, considerando la genericità del ricorso e tenendo conto che il divorzio in “oggetto non può ritenersi assimilabile al ripudio”, ha respinto il ricorso della donna e confermato il via libera alla trascrizione.
Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/la-corte-di-cassazione-sulla-trascrizione-di-una-sentenza-iraniana-di-divorzio-e-limite-dellordine-pubblico.html.
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